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Agorà Kroton, la cooperativa sociale che ora fa i conti con la tragedia di Cutro

| 7 Marzo 2023 | ATTUALITÀ

A Crotone, tutti i giorni, col sole e con la pioggia, a Natale e a Pasqua, un camper gira per la città, per portare un pasto caldo alle persone migranti e a quelle italiane, perché i poveri e i disperati sono sempre di più. Il cibo è cucinato a casa dalle volontarie, come quello offerto dalla mensa della Caritas”.

L’esperienza inventata dal nulla da Pino De Lucia Lumeno

Pino De Lucia Lumeno dice questo, per farci capire che a Crotone la rete sociale, fatta di cooperative e associazioni di volontariato, è attiva da anni; tuttavia, in questi giorni, dopo il terribile naufragio a Steccato di Cutro, è messa a dura prova, soprattutto sul piano emotivo.


Gli appartamenti dei centri Sai ospitano temporaneamente i familiari delle vittime, arrivati in Calabria per il riconoscimento dei propri cari, i mediatori culturali e gli psicologi sono impegnati negli ospedali, dove sono ricoverati i sopravvissuti, e al PalaMilone, gli unici a essere ammessi oltre alle famiglie.

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Con Pino è Youssef, curdo iracheno, mediatore culturale: “Ci sono quattro persone tra i naufraghi che hanno manifestato la volontà di rimanere qui. A breve, i colloqui e tutte le pratiche di rito”. Youssef è molto provato: “La situazione è difficilissima. In 13 anni di lavoro come mediatore non mi era mai capitato di dover affrontare momenti così dolorosi. Accompagnare i familiari al cospetto dei propri cari morti nel naufragio, oppure dare per telefono la notizia, vuol dire sentire dall’altra parte tutto il dolore del mondo, di fronte al quale ogni parola sembra senza forza, inadeguata. Non ci si abitua mai a questo, significa portarselo addosso per sempre”. Pino e Youssef rappresentano due facce della stessa accoglienza, chi l’ha offerta, chi l’ha ricevuta.

I fondatori della cooperativa sociale vengono da una baraccopoli

I quattro fondatori della cooperativa sociale Agorà Kroton, tra cui lo stesso Pino, erano cresciuti in una baraccopoli; dopo l’alluvione, si erano trasferiti nel quartiere popolare Fondo Gesù; sulla strada erano alla mercè di chiunque. Quando avevano dieci anni, la svolta: giunsero nel quartiere dei missionari, preti operai, e contemporaneamente venne aperta la sezione Pci “Palmiro Togliatti”. I ragazzi furono formati da entrambe le esperienze, si iscrissero a un istituto tecnico, come la maggior parte dei giovani della loro estrazione sociale, diventarono quattro geometri. Intanto il quartiere peggiorava, era arrivata la droga.

Fu proprio il grido disperato di un tossicodipendente a spingerli ad agire: si inventarono una comunità terapeutica laica, una delle prime in Calabria. Questa comunità il 24 febbraio ha compiuto 35 anni. “Alla tossicodipendenza si sommò l’aids, e a quel punto fu necessario imparare ad accompagnare alla morte chi prima si accompagnava alla speranza – dice Pino -. Fondammo una casa famiglia, per accogliere anche i familiari dei tossicodipendenti, i loro bambini, cui si aggiunsero minori abbandonati, vittime di violenze”.

Altre esperienze fondamentali per lui furono il volontariato prestato a Valona, durante la guerra nel Kosovo, dove, con gli ospiti della cooperativa, realizzò i bagni, una moschea, una scuola, e lo sbarco di profughi curdi a Soverato, con Badolato che divenne il primo paese accogliente della regione. Pino per caso incontrò in piazza Pitagora venticinque di quei curdi, che uscivano dalla mensa della Caritas, e, d’accordo con l’amico Piero, li sistemò nella comunità.

Da quegli anni, la cooperativa sociale ne ha fatta di strada, diventando Sai (sistema di accoglienza e integrazione), occupandosi di migranti, povertà, anziani, disabili, lavoro e beni comuni. Pino ne ha tracciato con noi la storia, per sottolineare, come si diceva, che a Crotone la rete è reale e duratura, nonostante gli ostacoli e le incomprensioni incontrati. Adesso, nell’ordinarietà delle sue azioni, fa i conti con la straordinarietà della tragedia di Cutro. Pino solo ieri ha accolto una famiglia proveniente da Goteborg, accompagnandola nel suo viaggio più lungo e doloroso.

Non ci si abitua alla sofferenza, vero, ma non si perde la speranza, perché alla solidarietà si è dedicata una vita intera, sacrificando, a volte, anche gli affetti.

Una vita passata sacrificando tutto al volontariato

Il padre, da muratore, era diventato costruttore e Pino, in qualità di geometra, era direttore nei suoi cantieri. Anche qui aveva organizzato un punto raccolta per gli ospiti della cooperativa, erano gli stessi operai che, quando potevano, lasciavano del cibo dentro un cartone. Fino a quando, un giorno, fu costretto a dire al padre: basta, me ne vado. Unico maschio tra sette sorelle, per il genitore che in lui riponeva il futuro dell’impresa fu una grande delusione, tanto da togliergli il saluto per 5 lunghi, anni.

“Sei il mio fallimento”, gli ripeteva. Ma Pino e il suo gruppo facevano del bene e piano piano si facevano apprezzare da tutti. Capitava, così, che qualcuno lo facesse notare al padre, il quale, mettendo da parte il rancore, faceva emergere il suo orgoglio: “E’ figghiu a mmia”, è mio figlio”. Fecero pace, si perdonarono e si capirono a vicenda.

Pino, oggi, oltre a rappresentare, con la sua vita, la vita di Agorà Kroton, è il responsabile regionale immigrazione della Lega Coop Calabria. Da pensionato, continua il suo volontariato anche con Terre joniche, una cooperativa nata su un terreno confiscato alla mafia, incontra scuole, giovani e meno giovani. Segue gli sbarchi che avvengono lungo questa costa, ricordando altri 4 morti in un naufragio, affronta quello di Cutro con realismo, esperienza, sofferenza e fiducia. Molte le contrarietà cui ha dovuto far fronte, molti anche gli affetti che lo hanno affiancato.

Nonostante tutto, afferma: sono un uomo fortunato.

TAG: Cooperativa Agorà Kroton, Crotone, migranti, sociale
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