Anche quest’anno, nonostante la Pandemia, il Covid e le sue varianti, il 25 arriva il Santo Natale, affranto e con il vaccino, ma arriva e potrebbe essere una possibilità reale e costruttiva di pensieri e preghiere sentite, vere, dettate da un animo e un clima sofferente. Un dolore e uno smarrimento che accomuna tutti. Per una volta forse, si potrebbe fare a meno della solita retorica, di frasi fatte del tipo Siamo tutti più buoni, mentre le critiche, gli inciuci tra amici e parenti non si placano, sulle stranezze, gli egoismi, neanche con la nascita del Salvatore. Altro che pace nei cuori, parole aleatorie e insensate, simili a tante frasi banali, tanto per dire e non pensare. Anche sul virus si abbonda ripetendo che andrà tutto bene, e di sicuro non vincerà, ma ne ha sconfitti parecchi!
Magari, in questa situazione le parole dissacranti e vere dell’ineguagliabile Charles Bukowski, possono tornare utili, avendo lo scrittore un’idea del Natale molto distante dall’immagine familiare felice, colorata e perfetta. Per lui che ha vissuto una vita ai margini, sempre dalla parte sbagliata, sofferente ed estraneo, tra tanti sconfitti, nelle sue parole non ci sono certo case luccicanti e alberi stracolmi di doni. Ma uno sguardo sul vuoto dietro i finti sorrisi, i regali, gli addobbi, le luci e gli affari, che anticipano di anno in anno e non certo per festeggiare più a lungo il compleanno del caro Gesù. E non dovrebbe essere questo lo spirito natalizio, ma un viaggio interiore, di speranza, evoluzione, un pensiero di fede per la culla piena, dono per l’umanità.
Charles scrive: “È Natale da fine ottobre. Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti. Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese”. Potrebbe essere un’occasione per onorare tutti quelli che non ci sono più, sconfitti da un nemico veloce e letale, per riflettere e ascoltare il silenzio dell’anima, che spesso tenta di suggerire qualcosa. Qualcosa destinato a frammentarsi nel fare, sfuggendo e lasciandosi confondere dal momento, dai rumori e dalle tante cose inutili, che fanno impazzire. Eppure ci potrebbe essere un pensiero migliore verso l’altro, in solitudine e privo di mezzi. Un gesto di bene, disposto a fare e a dare anche nel piccolo e con poco, condividendo. Perché il Natale non è magia, che rende per incanto tutti sazi e beati, ma un gesto solidale ripetuto da tanti, nella propria misura che diventa un aiuto concreto. Basta poco. Un Natale oltre le mura, dove la solitudine lenta si consuma e nelle feste diventa più forte il senso di abbandono. Luoghi dove il calore e la rinascita non arriva, se non a confermare le solite mancanze.
E non a caso Charles aggiunge crudo, per chi come lui ha conosciuto la povertà e le tante difficoltà: “Il Natale serve a ricordare a quelli che sono soli che sono soli, a quelli che non hanno soldi che non hanno soldi, e a quelli che hanno una famiglia…”. Diciamo “che hanno una famiglia del …” cavolo! E anche più depressi del solito.
Quindi, per il Natale 2020, fra pochi intimi e meno confusione, il dare e il silenzio possono essere una promessa di pace e speranza. Ma anche leggerezza nel fare a meno delle incombenze, le forzature, i baci, gli auguri recitati, per un’interpretazione più intima, raccolta nel calore e nei pensieri in cui riconoscersi, vivendo la propria fede.
Oltre a un Natale pensante però, un po’ d’ironia non guasta, dov’è possibile, e sono molti i personaggi che riescono a strappare un sorriso con la loro versione surreale del Natale. Basta ricordarne la pestifera Shirley Temple: “Ho smesso di credere a Babbo Natale quando avevo sei anni. Mia madre mi portò a vederlo in un grande magazzino e lui mi chiese l’autografo”. Oppure Charles M. Schulz che dice a “Natale son tutti più buoni. È il prima e il dopo che mi preoccupa”.
E per finire l’esilarante Henny Youngman a cui tanti si associano: “Se quest’anno nessuno ha intenzione di mandarmi dei regali per Natale, non vi preoccupate. Ditemi solo dove abitate ed io verrò a prenderli da solo”.