Arriva il primo hashtag d’autore in letteratura: è il GPS, “doppio” di Giampaolo Spinato. Giocando sull’acronimo, si può dire che il suo settimo romanzo aiuta il lettore ad orientarsi in una parodia del genere distopico in chiave satirica ambientata tra Milano e Stoccolma. L’Europa del 2045 fa carta straccia della Carta dei Diritti Umani, ma si mobilita per fronteggiare la catastrofe: la distruzione, appunto della vecchia Europa.
Crollano le macerie della vecchia Europa, ma la ricerca della propria identità resta la stessa. L’agente dei servizi doppiogiochista cerca veramente il padre e la madre o piuttosto tenta l’impossibile impresa di entrare nell’utero di un’Europa matrigna?
L’Europa Matrigna ha sostituito i milioni di cadaveri stratificati nelle due grandi guerre del secolo scorso con l’olocausto di altrettanti corpi e menti ad opera di élite garantite in lobby. Questa Europa, oltre che matrigna, è morta. E c’è puzza di necrofilia negli argomenti di chi si abbarbica alla sua reliquia polverosa. Le lingue‑madri e i linguaggi‑padri, per tornare a generare significati, devono reincontrarsi. Amarsi. Partorire sensi, e non più sterili parole d’ordine che celebrano di fatto le esequie di questa Europa. Un’Europa sdraiata sulla Pace pluridecennale e sul roaming gratuito, neanche fosse una bestemmia pretendere una ristrutturazione dell’Unione in forma di Comunità Politica di Popoli. In questo senso, il padre e la madre assenti nel libro rappresentano una naturalità ancestrale, l’unica generativa, schiantata dalla muscolarità di poteri economici e finanziari. La vacuità, l’inconsistenza che espongono l’Europa agli appetiti planetari hanno mietuto intere generazioni, vittime del parassitismo che ne ha fatto una necropoli dove la compravendita di sovranità serve a spolparne gli ultimi tesori. Per tutto questo, con gaia meraviglia, i cospiratori del romanzo, quasi tutti doppiogiochisti, progettano di profanare l’utero inservibile della vecchia Europa. Un continente da cui spurgano nuovi fascismi rappresentati dai Macron, i Renzi, i Salvini o i Geni del Sarcofago (Berlusconi). L’inversione della corsa verso lo sfacelo richiede abilità, ironia, complicità e un ingegno eversivo. Tutto quello che anima i personaggi del romanzo.
Nel tuo libro, gli equilibri tra gli Stati membri sono regolati dai ricatti. Tu dici che il linguaggio unisce visibile e invisibile, smascherando le imposture. Questi ricatti sono l’involuzione futura della “solidarietà europea”, o li consideri già un dato di realtà?
Per rispondere a questa domanda aprirei un vasetto di Nutella, va così di moda… Nata il 20 aprile del 1964, la ghiotta cremina che Matteo Salvini ama spalmare sui suoi tweet deve la sua popolarità a Pietro Ferrero che nel 1946, ad Alba, fonda l’omonima multinazionale attualmente posseduta dalla holding Ferrero International con sede a Findel, in Lussemburgo. È solo un esempio. Ne potremmo fare a migliaia, radiografando la bizzarra distribuzione geografica delle produzioni e dei cervelli finanziari che le sovrintendono. Là dove convenienza e profitto ridisegnano confini, radici e identità, l’appetito vien mangiando. E chi ha degli interessi in questo mercato, oltre a farsi beffe del genius loci (e della forza-lavoro all’origine della fortuna di quei prodotti), è indotto a presidiare i patti che ne regolamentano le attività. Ad esempio finanziando politiche che ne agevolino i profitti.
È la sostituzione di un sogno e di un progetto – l’unione politica – con l’autoritarismo dei grafici Xcel che ingrassa i nazionalismi, i campanilismi, l’inclinazione autoritaria di movimenti politici e leader che, a loro volta, sono il cavallo di Troia delle bande impegnate nella rapina permanente, come dimostrano le cronache di questi giorni in Italia (caso Siri, ndr). Impegnate come sono a conservare le proprie posizioni messe in pericolo dalla definitiva caduta dell’Auctoritas che loro stesse hanno contribuito a disintegrare con ingordi clientelismi e familismi, le cosiddette élite non hanno la lucidità di indicare una via d’uscita.
I popoli, atterriti dallo spurgo di sangue marcio accumulato da decenni di attività corruttiva e di umiliazione del merito e del talento, sono spaesati, assediati da un’offerta politica che ne solletica gli istinti più retrivi. È un passaggio delicatissimo: gli individui sono chiamati a emanciparsi dalla mera funzione di consumatori, ridiventando uomini e donne, a saper discernere i progetti per il bene comune dagli inganni, proprio quello che la mistica del consumo più detesta: che la gente pensi e scelga.
Gratta e vinci che regolamentano i flussi migratori, giudici non compiacenti eliminati nel quarto grado di giudizio con il gradimento degli spettatori, nel rutilante mondo che hai creato ne La Gaia Meraviglia non ci fai mancare niente. Detto tra noi: è solo un futuro letterario distopico o pensi davvero che finiremo così?
Alcuni degli scenari che fanno da sfondo al romanzo sono iperboli di un indirizzo attuale, pervasivo ed incalzante. Le politiche europee sui flussi migratori, per esempio, sono state fallimentari. Le attività legislative, oculatamente asservite agli interessi economici, hanno prodotto mostri in cui si calcolano solo costi e benefici nelle alterazioni alimentari, nel risparmio sulla spesa sanitaria.
Le persone non hanno più destini, vocazioni, storie, visioni, prospettive da proporre e costruire: sono numeri e percentuali. I giudici, quando non colludono coi veti incrociati di partiti asserviti agli interessi di grandi gruppi editoriali e bancari, sono già messi ai margini. E lo stesso capita in tutti gli altri settori dove pensiero, talento, ingegno sono calpestati dalle appartenenze politiche, dai curricula plastificati, nell’università, nella sanità, negli enti pubblici. Il distopico ha una natura sostanzialmente rassicurante e compatibile col mantenimento dello statu quo.
E infatti La Gaia Meraviglia non è un romanzo distopico in senso stretto, ma la sua parodia. Fatte le debite proporzioni, naturalmente, come il Chisciotte ridicolizzava il romanzo cavalleresco, così questo romanzo infila spine di comicità eversiva nei soffici cuscini di canoni preconfezionati.
Ribaltiamo la cronologia del libro, e chiudiamo con l’inizio. La mattina del 21 marzo 2045 il cuore dell’Europa scompare dalle mappe. Ma quello che viene dopo quell’Europa non è meglio… e quindi?
L’ “infarto del pensiero” con la sua onda d’urto investe gli ambiti più disparati, politica, economia, educazione, etc. Bisogna riabilitare un’intera classe dirigente, che ormai si esprime con la sintassi sgrammaticata e inattendibile dell’isteria. L’Estetica dei Parassiti, degli “intellettuali” compiacenti, magari compagni di scuola dei Premier di turno, dei leader politici cooptati dai membri di CDA bancari ed editoriali seduti su poltroncine di design, ha pompato sangue marcio nelle vene delle élite. Che infatti, soprattutto a sinistra, mostrano l’accanimento conservatore e fascistoide di chi teme per i posti al sole garantiti a figli e nipoti.
Ma il vero nemico non sono i personaggi da operetta quotidianamente alla ribalta la cui smania, come l’allarmato presenzialismo, tradiscono solo disorientamento, impreparazione e una disperata, insaziabile ingordigia di riconoscimento. Il vero “nemico” è l’obsolescenza programmata che affligge la comunicazione, asservendola alla militare ricerca di consenso.