Niente risarcimento per Marisa Garofalo, sorella di Lea, testimone di giustizia uccisa il 24 novembre 2009. Così ha deciso lo Stato nonostante che nella sentenza definitiva di condanna nei confronti di Carlo Cosco, marito di Lea, e dei suoi complici emessa nel 2013, i giudici avessero deliberato il risarcimento per Marisa Garofalo come anche per la madre successivamente deceduta.
Lea Garofalo, originaria di Petilia Policastro nel crotonese, è stata uccisa perché si è ribellata alla famiglia mafiosa del marito. Divenuta testimone di giustizia è stata uccisa nel 2009 dopo che era uscita dal programma di protezione. Il risarcimento stabilito avrebbe dovuto essere di 50 mila euro, Marisa ha presentato la domanda al Ministero dell’Interno il quale avrebbe dovuto rispondere entro 60 giorni; trascorsi 2 anni e mezzo la risposta è giunta negativa. La prefettura di Crotone ha motivato il diniego dicendo che: nonostante la fedina penale immacolata, “la donna non risulterebbe essere del tutto estranea ad ambienti e rapporti delinquenziali”.
E’ un dato di fatto, al Ministero dell’Interno quanto alle Forze dell’Ordine locali, che sia il padre Antonio come anche il fratello Floriano, siano stati uccisi rispettivamente il capodanno del 1975 e nel giugno 2005, per una faida tra due famiglie locali, ma è altrettanto vero che Lea prima e Marisa poi hanno preso le distanze da quel mondo criminale. Ad avvalorare la tesi del diniego, la Prefettura aggiunge l’intercettazione di una conversazione tra Marisa Garofalo e un esponente della ‘ndrangheta “onde poter propriziare il ritorno di Lea nella terra natia, al riparo da ritorsioni”.
Prima lo Stato dice ribellatevi, una volta ribellati alla criminalità, soprattutto quando si allontanano da quel mondo criminale che giocoforza, sia Lea che Marisa hanno subito, lo Stato ti lascia solo e non ti riconosce nemmeno il risarcimento per l’uccisione di un parente in quel modo atroce. Non esiste più nemmeno il diritto di ribellarsi affermando la propria voglia di libertà e di cambiare vita.
Marisa Garofalo ha testimoniato contro Carlo Cosco, marito di sua sorella Lea, contribuendo in modo decisivo alla sua condanna all’ergastolo; eppure la sua decisione di dire no alla mafia non viene premiata anche se nessun risarcimento ridarebbe la vita a Lea Garofalo, ma almeno andava riconosciuta… Non viene riconosciuta la sua decisione di allontanarsi da quel mondo criminale che la circondava, non viene riconosciuto il suo impegno costante nel raccontare nelle piazze come nelle scuole la sua esperienza e la vita di sua sorella Lea.
In un paese che per anni ha dato retta a falsi pentiti, rallentando in tal senso le indagini fondamentali, nessun risarcimento spetta a chi lotta contro la mafia rischiando la propria vita.