Si festeggia oggi, al teatro Eliseo di Roma, il decimo compleanno del PD, nato per iniziativa di Veltroni sulle spoglie dell Ulivo, ma nessuno dei maggiorenti prodiani è stato invitato a partecipare all’evento ed alcuni di essi parlano significativamente di “giornata di lutto”.
Sono le vedove di Prodi, che non hanno gradito l’approvazione della legge elettorale e continuano a sognare la riesumazione del soggetto politico che ha dato vita a due governi, rissosi ed inconcludenti, e prematuramente deceduti, nel 1996 e nel 2006.
Il PD nasce proprio per superare le contraddizioni di un’alleanza tra spezzoni di centro, orfani di dimora, e tutte le variegate anime della sinistra, anche quelle vocate alla testimonianza di un’irriducibile rifiuto del sistema. Ed è anch’esso una creatura irrequieta,
per la coesistenza di sensibilità ed ascendenti che non gli permettono di raggiungere l’amalgama, come attestato dalla recente frattura.
Ebbene, immaginare che la soluzione al problema della governabilità passi dal ritorno all’esperienza dell’Ulivo, drammaticamente naufragata, significa confondere i propri desideri con la realtà di un Paese che chiede chiarezza, non la trova nei partiti e tende a privilegiare il populismo protestatario.
Non possiamo reimmergerci nel dualismo tra Prodi e Berlusconi, che ha drogato la seconda repubblica, regalandoci la peggiore classe dirigente dal dopoguerra ad oggi, ma ci tocca lavorare ad una ridefinizione di tutte le identità, per restituire autorevolezza e dignità alla politica.
Non vedove inconsolabili del confuso tempo che fu, ma costruttori di futuro per le nuove generazioni.