
La cronaca di questi giorni propone un remake di torbide vicende del passato, svelando manovre sotterranee, che, come fiumi carsici, vengono improvvisamente in superficie, con effetti devastanti sulla credibilità della politica.
L’avvento di un personaggio nuovo, per modalità espressive e comportamentali e per tendenza alla dissacrazione, in un partito mummificato da bendaggi
ideologici ed immutabili ritualità, ha sconvolto tutti gli scenari, prendendo di sorpresa i protagonisti del consueto minuetto.
Nel volgere di qualche mese, con mosse ardite e sbrigative, si è impadronito del governo ed ha aperto una stagione di ambiziosi cambiamenti, pretendendo di dimostrare come fosse facile raggiungere, in breve tempo, risultati ritenuti impossibili dagli addetti ai lavori.
Ogni riforma, dalle unioni civili alla scuola, dal Jobs act all’abolizione dell’IMU sulla prima casa, sino a quelle, tempestose, per il varo di nuovo assetto istituzionale ed Italicum, ha attinto il traguardo a costo di lacerazioni, scontri furiosi, rotture di sodalizi e tradizionali alleanze, accuse di tradimento dei sacri ed intangibili ideali della sinistra. Ed ha regalato all’indomabile puledro schiere sempre più numerose di nemici mortali, disposti a fare patti anche con cooperative di diavoli, pur di liberarsene.
Così, al prima boa decisiva, quella del referendum, i sinistri scricchiolii percepiti nelle elezioni regionali ed in quelle di Roma e Torino, si sono tradotti in terremoto devastante, con i numeri perentori del 4 dicembre.
Incassato il terribile verdetto, il nostro eroe ha prontamente provveduto a lasciare la presidenza del consiglio e, dopo qualche schermaglia, ha ridato contendibilita alla segreteria del partito, scontando un’immediata scissione, prima ancora
che venissero celebrate le primarie.
Il PD è un corpaccione flaccido di insuperabili parolai e sofisti capaci di spaccare il capello in 16 e poi accanirsi davanti al microscopio, ma, nel prudente silenzio dei padri fondatori, non è emersa alcuna vera alternativa al Renzi ammaccato dalla sconfitta e lo stesso è stato gratificato di un larghissimo consenso, dimostrando al colto ed all’inclita dove batte il cuore di iscritti e simpatizzanti.
Adesso che il partito, squassato da interminabili diatribe, indebolito da fughe, tradimenti ed intelligenza col nemico, ha riportato un deludente risultato alle amministrative e perso roccaforti che sembravano inespugnabili, i vecchi santoni Prodi e Veltroni, escono da una lunga afasia per chiedere a gran voce un radicale mutamento di linea politica e suggeriscono ai loro seguaci palesi ed occulti, ed a tutti i cuori deboli terrorizzati per il loro futuro, di ordire una congiura di palazzo per deporre il re voluto dal popolo.
Così molti di questi impavidi si presenteranno sabato alla convention del nuovo vate Pisapia, incaricato di suturare tutte le ferite della sinistra, per restituirla al suo luminoso destino.
Perché c’è sempre una congiura degli ottimati, per neutralizzare gli effetti dei fastidiosi riti della democrazia.