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25 anni dopo la strage di Capaci: gli uomini passano, le idee restano

| 23 Maggio 2017 | CRONACA

23 maggio 1992Capaci. Una data e un luogo che devono restare impressi nella memoria. Un giorno e una località in cui la legalità è stata colpita al cuore. Da quel momento, nulla in Italia è stato lo stesso.

Siamo a Palermo. Il giudice Giovanni Falcone ha da poco festeggiato col suo amico Paolo Borsellino il suo 53esimo compleanno, fissato per il 20 maggio. Dedica la maggior parte della sua vita alla lotta alle mafie. Insieme a Borsellino e ad Antonio Caponnetto, ha indagato fin dai primi anni ’80 sui crimini di Cosa Nostra. Anche grazie a lui, 19 criminali sono stati condannati all’ergastolo con oltre 2700 anni di reclusione complessivi. Ora Giovanni sta lavorando a Roma per continuare a svolgere il suo lavoro. La battaglia contro boss e criminali va avanti senza sosta. Ma la situazione inizia a farsi complicata.

A poco a poco, la mafia inizia a puntare Falcone. E non solo. La Magistratura gli impedisce di guidare il pool antimafia a Palermo. Lo Stato inizia a sospettare di lui. E la sua collaborazione con il ministro Claudio Martelli viene osteggiata persino dai suoi colleghi. Nel giugno 1989, il giudice riesce a salvarsi da un attentato fallito all’Addaura. Ma la paura non passa, anzi. Da Totò Riina a Matteo Messina Denaro, da Giovanni Brusca a Leoluca Bagarella, troppi malavitosi vogliono vederlo morto.

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Tutto si concretizza quel maledetto 23 maggio 1992, alle ore 17.58. Un’esplosione improvvisa, terribile, in corrispondenza della svolta per Capaci, sull’autostrada Palermo-Trapani. Falcone è nella sua auto insieme alla moglie Francesca Morvillo. Davanti a loro, la Croma marrone della scorta del magistrato, occupata da Vito SchifaniRocco DicilloAntonio Montinario, viene avvolta nel fumo e nelle fiamme. La vettura di Falcone e della Morvillo va a sbattere contro i detriti. L’impatto è violentissimo e tutti e cinque muoiono. Una vera strage, dovuta alla follia di Giovanni Brusca. Un “uomo” conosciuto col soprannome di scannacristiani per la sua ferocia inaudita. Il 19 luglio 1992, la stessa sorte di Falcone colpirà l’amico di sempre Paolo Borsellino, ucciso con cinque membri della sua scorta nella strage di via D’Amelio.

Sono già passati 25 anni, ma certe tragedie non vanno mai lasciate in secondo piano. Falcone era un semplice uomo che svolgeva il suo lavoro. E per questo era diventato scomodo agli occhi di molti che volevano fermarlo, imbavagliarlo. Possono aver messo a tacere la sua voce, ma i suoi pensieri e i suoi modi di fare resteranno sempre qui, in mezzo a noi. Perché come ha detto lui stesso, gli uomini passano e le idee restano.

TAG: #ionondimentico, Capaci, Giovanni Falcone, palermo, strage
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