Dai bar alla distribuzione alimentare, dai trasporti ai distributori di metano fino all’industria dell’acciaio, della carta e della ceramica. Tanti settori con un comune denominatore: il rischio di chiusura.
La causa è il prezzo fuori controllo del gas e dell’energia che, insieme ai rincari sulle materie prime, spingono tutti i comparti a chiedere misure urgenti al governo.
Nel luglio 2021 un bar spendeva circa 2.300 euro per 10.031 kWh mentre un anno dopo ha speso, a parità di consumi, circa 6.950 euro. È la Fipe a quantificare l’impennata delle bollette, sottolineando anche come analoghi rincari si registrino anche per le materie prime.
“Chiediamo che ci sia un credito d’imposta sugli aumenti energetici e un tetto al costo dell’energia, altrimenti non è possibile lavorare”, avverte il direttore generale Roberto Calugi. Numeri allarmanti anche dalla Confesercenti, che paventa il rischio di un’uscita dal mercato del 10% delle imprese (circa 90mila) per un totale di 250mila posti di lavoro persi.
Bollette “quintuplicate” rispetto alla norma, denuncia Fida – Confcommercio, e rischio chiusure anche nella distribuzione alimentare al dettaglio. Un settore caratterizzato da una “bassissima marginalità – spiega la presidente Donatella Prampolini – non può sostenere costi energetici su base mensile che impattano per il 10% sui conti economici, quando in condizioni di normalità non andavano oltre il 2%”.
Sono in grave difficoltà anche i distributori di metano, che in Italia arrivano ad essere quasi 1.500. “Ai prezzi attuali rischiamo di vederli scomparire dal mercato”, avverte il presidente di Federmetano Dante Natali, spiegando che è “impossibile vendere il carburante per autotrazione a 3 euro al chilo”. Per Natali l’unico intervento possibile è un tetto al prezzo del gas. “Ma chiederemo anche l’annullamento dell’Iva attualmente al 5%”, annuncia.
Rischio stop generalizzato anche per le industrie dell’acciaio, perché “lavorare a questi costi significa perdere centinaia di euro a tonnellata prodotta. Dopo le ferie estive moltissimi stanno valutando di non ripartire”, spiega il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. L’unica strada da percorrere sembra essere il price cap, anche autonomamente rispetto all’Europa, visto quanto fatto finora da altri Paesi, come Spagna e Portogallo. “Non è immaginabile abbandonare a sé stesso il sistema industriale italiano”, denuncia Gozzi.
Qui la corsa dei prezzi energetici costringe allo stop le imprese che hanno investito sui veicoli a gas. “Il nostro settore – spiega il segretario generale di Conftrasporto Pasquale Russo – si muove per il 95% con il gasolio e per il 5% con il gas”.
Come evidenzia Russo, “mediamente il costo del prodotto petrolifero, del gas in questo caso, vale il 30% dei costi di un’impresa di trasporto. Con una spesa quadruplicata abbiamo un aumento complessivo di costi di esercizio di circa il 10-15%. È impossibile andare avanti per imprese che lavorano a marginalità molto ridotta, come quelle del trasporto”.
Situazione “gravissima”, denuncia il presidente di Confindustria Ceramica Giovanni Savorani, in un settore che esporta l’85% di quanto produce e ha bisogno di essere competitivo sui mercati internazionali. Savorani sottolinea la necessità di misure urgenti “non rinviabili al prossimo governo”, tra le quali un tetto al prezzo del gas e una moratoria sui mutui.
Tra i settori che dipendono fortemente dal gas c’è quello della carta, dal quale emerge un altro problema oltre ai costi energetici: la difficoltà perfino a trovare fornitori di energia. “Non abbiamo la possibilità di redigere dei contratti per l’anno termico che parte l’1 ottobre con le società che vendono gas – spiega il presidente di Assocarta Lorenzo Poli – a causa dell’incertezza sul mercato, perché nessuno riesce a fare più prezzo”. Incertezza, denuncia Poli, che aggrava ulteriormente il rischio di stop.