Fecondazione artificiale e maternità surrogata, assistenza sanitaria, vendita e donazione di organi, sperimentazione sugli embrioni, eutanasia, suicidio assistito sono alcuni dei temi caldi del dibattito bioetico contemporaneo. Da ognuno di questi temi discendono domande che equivalgono a dilemmi morali ai quali non è possibile dare risposte univoche, anche se è possibile individuare alcuni principi generali sicuramente condivisibili sulla base dei quali orientare le cure e le scelte.
Ad esempio il principio di beneficialità (non nuocere, prevenire, curare la malattia e fare del bene al paziente), autonomia del soggetto, giustizia delle cure, confidenzialità e fedeltà, ovvero mantenere la parola data.
Anche questi principi, tuttavia, aprono la strada a riflessioni alle quali è difficile dare risposte valide per tutti. Come deve orientare la sua scelta un medico che ha due pazienti in fin di vita, in attesa di un trapianto di fegato, ma un unico fegato da trapiantare?
E chi sceglie per conto di un paziente che non ha più capacità di scelta autonoma, perché in coma irreversibile? Il caso di Terri Schiavo interpella le nostre coscienze. E ancora: è giusto “imporre” la vita a una persona che, lesa irrimediabilmente nella sua salute e nella sua stessa identità fisica, desideri morire? Il caso Dax è un esempio di questo dilemma.
Nonostante la filosofia moderna abbia provato a superare le narrazioni morali contrastanti, nella società postmoderna permangono valori etici e morali contrastanti.
Nel tentativo di portare certezza al ragionamento etico, i consequenzialisti sostengono che è necessario calcolare le conseguenze per ciascuno. Per gli utilitaristi, un comportamento etico si identifica in un’azione che produca il massimo bene per il massimo numero di persone possibili, minimizzando le conseguenze negative. Secondo Peter Singer, soltanto i soggetti in grado di sviluppare e coltivare interessi sono “persone” e possono essere presi in considerazione nel calcolo utilitaristico che mira a valutare la bontà morale di un’azione. Questa impostazione porta a conclusioni spietate. Per Singer, infatti, i feti, i comatosi, gli handicappati gravi, non essendo in grado di sviluppare e coltivare interessi, non sono “persone” né soggetti morali e restano esclusi dal “maggior numero” di individui a favore del quale è orientato il calcolo utilitaristico della moralità di un’azione.
In un’ottica liberale, Hugo T. Engelhardt prende atto che viviamo in comunità morali diverse, fatte di “stranieri morali” che aderiscono a sistemi di valori diversi. Per fondare un’etica pubblica laica basata sul consenso e non sull’uso della forza, è necessario quindi cercare un accordo libero tra le parti, fondato sul rispetto dell’autonomia e non dei contenuti dei singoli.
Nel corso della sua storia millenaria, l’uomo ha affidato la propria salute alle cure della medicina istintiva, sacerdotale, magica, empirica e solo in tempi relativamente recenti, scientifica. Questo cammino è stato segnato da successi straordinari, che hanno enormemente migliorato la qualità e aumentato la durato della nostra vita, minimizzando dolore e sofferenze. La scienza si affida oggi a macchine complesse e robot in grado di guidare con estrema precisione interventi di microchirurgia che consentono interventi fino a vent’anni fa inimmaginabili.
L’evoluzione scientifica ha modificato le nostre visioni e percezioni della vita e della morte, spostando in continuazione i confini dell’intervento umano – e delle scelte individuali – riconosciuti come legittimi. Sul fronte bioetico, tuttavia, restano numerose e pericolose contraddizioni, che mettono a rischio la dignità della persona. Ad esempio, la possibile deriva paternalista e autoritaria da parte dello Stato.
Il lockdown imposto durante la pandemia era lecito? E’ giusto imporre cure o trattamenti sanitari che vanno contro la volontà individuale?