Le digital tax nazionali “saranno rimosse nel 2024”. Così Daniele Franco durante la conferenza stampa al termine del G20 finanze tenutosi a Washington, sotto la presidenza italiana. A fare da sfondo alla dichiarazione del ministro dell’Economia, l’accordo in sede Ocse, in cui 136 Paesi (che rappresentano oltre il 90% del Pil globale) su 140 (sono rimasti fuori Nigeria, Kenya, Sri Lanka, Pakistan) hanno votato a favore di una riforma del sistema fiscale internazionale che assoggetterà le multinazionali a un’aliquota minima del 15% a partire dal 2023.
Un’intesa che arriva dopo anni di intense trattative, e che garantirà che queste aziende paghino un’equa quota di imposta ovunque operino e generino utili, oltre a una redistribuzione di più di 125 miliardi di dollari di profitti da circa 100 delle imprese più grandi e redditizie: “Un successo” l’ha definita Tommaso Faccio, docente di contabilità e tassazione alla Nottingham University.
A non convincere l’esperto, però, è l’aliquota: “È un’occasione persa: il 15% è stato un favore all’Irlanda. E’ mancata l’ambizione da parte dei partner europei e degli Stati Uniti di cercarne una più alta, intorno al 21% (quella che aveva proposto Joe Biden)”. Una differenza non da poco per l’Europa, ma anche per il nostro Paese: “Per l’Italia – prosegue – le stime con il 15% sono di circa 3 miliardi, con il 21% invece sono quasi 8. Per l’Unione europea, 50 miliardi con il 15%, 100 con il 21%”. Ecco perché, secondo Faccio, “nei prossimi mesi, in sede europea, si negozierà un’aliquota comune”.