Di Simona Spinelli – Collaboratrice Direttore Dipartimento Scienze Giuridiche Università Meier
La pandemia da Covid 19, che ci ha colpito nell’ultimo anno, ha avuto un impatto devastante sulla vita delle persone in tutto il mondo, obbligandoci a rivedere i nostri stili di vita, abitudini e financo diritti che potevamo dire acquisiti sino a qualche mese or sono. Ma certamente, vale la pena sottolineare, come questo virus, a tratti devastante nelle sue diverse espressioni che vanno a ledere anche la stabilità psichica di noi tutti, privandoci di quei naturali rapporti interpersonali che sono alla base dello sviluppo di una persona, sia una delle possibili conseguenze proprio di quegli stili di vita che tanto rivendichiamo ma che tanto peso hanno sull’ambiente. Consumi sfrenati, commercio globale, sovra sfruttamento degli ecosistemi, hanno portato la Terra oltre il punto di rottura. Le risorse naturali hanno subito dagli anni ‘50 del secolo scorso un declino senza precedenti nella storia umana. Una specie su otto è a rischio estinzione. Per l’Italia la tendenza è estremamente negativa, a causa del netto peggioramento degli indicatori elementari relativi alla frammentazione del territorio e al consumo di suolo. Il WWF ha pubblicato lo scorso 14 marzo 2020 il report “Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi. Tutelare la salute umana conservando la biodiversità”, con lo scopo di offrire una presa di coscienza condivisa sulle conseguenze devastanti derivanti dal declino ambientale. Nel report vengono argomentate una serie di semplici, ma non scontate, considerazioni: •esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il Pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Molte delle malattie emergenti – come Ebola, Aids, Sars, influenza aviaria, influenza suina e il nuovo coronavirus SARS-CoV-2 (Covid-19) – non sono catastrofi del tutto casuali, ma la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali;• gli ecosistemi naturali hanno un ruolo fondamentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive e quindi nel sostenere e alimentare la vita, compresa quella della nostra specie. L’incisività della risposta sanitaria e l’entità delle operazioni di sostegno all’economia reale, alla moneta comune e alla finanza non possono portare di per sé al superamento delle problematiche di fondo che caratterizzano il nostro modello di sviluppo e la nostra vita sociale per come l’abbiamo sinora costruita. Nel report del WWF viene chiaramente ricordato che l’impatto della specie umana sugli ecosistemi naturali ha oggi modificato in modo significativo il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino, mettendo a rischio di estinzione circa 1 milione di specie animali e vegetali. Nel report si evidenzia inoltre, come tre quarti (75%) delle malattie umane fino ad oggi conosciute derivano da animali, e la maggior parte (60%) delle malattie emergenti sono trasmesse da animali selvatici. Il commercio di specie selvatiche (wildlife traffic), come insegna l’individuazione del primo focolaio della pandemia di Covid-19 nel mercato di animali selvatici a Wuhan in Cina, espone la specie umana a virus o altri agenti patogeni di cui quell’animale può essere ospite. Sono moniti, evidenze, avvertimenti che negli ultimi decenni gli scienziati di tutto il mondo hanno cercato di far emergere, come risulta essere, ad esempio, nel Global Environment Outlook (GEO-6 2019), pubblicato il 13 marzo 2019, il rapporto più completo e rigoroso sullo stato dell’ambiente completato dalle Nazioni Unite negli ultimi cinque anni, nel quale emerge che i danni al pianeta sono così gravi che la salute delle persone sarà sempre più minacciata a meno che non venga intrapresa un’azione urgente. “La scienza è chiara. La salute e la prosperità dell’umanità sono direttamente legate allo stato del nostro ambiente“, ha affermato Joyce Msuya, direttore esecutivo facente funzione di UN Environment. La proiezione di un futuro pianeta sano, con persone sane si basa su un nuovo modo di pensare, in cui il modello “cresci ora, pulisci dopo” viene modificato in un’economia a rifiuti quasi zero entro il 2050. Lo stesso avvertimento sulla necessità di modificare il modo di gestire la Terra, è stato espresso nel 2017 dall’Alliance of World Scientists (AWS), un’assemblea internazionale di scienziati indipendente. Già nel 1992, in occasione della Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro, i membri della Union of Concerned Scientists scrivevano assieme a più di 1.700 scienziati indipendenti il primo “Avvertimento all’umanità dagli scienziati di tutto il mondo“. Gli autori, tra i quali figurava la maggior parte dei premi Nobel viventi nell’area delle scienze, rivolgevano un allarmato appello all’umanità affinché cessasse la distruzione dell’ambiente e riconoscesse “la necessità di un drastico cambiamento nel modo di gestire la Terra e la vita su di essa per evitare immense sofferenze per l’umanità“. Il loro manifesto spiegava come il genere umano fosse entrato in rotta di collisione con il mondo della natura ed esprimeva preoccupazione per i danni osservati, previsti e potenziali sul pianeta, citando l’assottigliamento dell’ozono stratosferico, la disponibilità di acqua dolce in declino, la dissipazione della fauna e della flora dei mari, le cosiddette zone morte degli oceani, la deforestazione, la riduzione della biodiversità, i cambiamenti climatici e la rapida e continua crescita della popolazione umana. Nel 2017, gli scienziati hanno lanciato un secondo avvertimento, sottolineando che il futuro dell’umanità fosse a repentaglio a causa dei consumi sfrenati, seppure geograficamente e demograficamente disomogenei, e della mancata percezione di come la rapida ed ininterrotta crescita demografica fosse la causa primaria di molte crisi ecologiche, nonché sociali. Dal 1992 al 2017, fatta eccezione per la stabilizzazione dell’ozono stratosferico, l’umanità non è riuscita a realizzare progressi tali da contrastare le minacce sull’ambiente, anzi, queste si sono per lo più aggravate in modo allarmante. Particolarmente preoccupante è la situazione dei cambiamenti climatici potenzialmente catastrofici causati dall’aumento dei gas serra a seguito dell’utilizzo di combustibili fossili, della deforestazione, della produzione agricola e in particolare dell’allevamento di ruminanti per la produzione di carne.
Per proteggere i sistemi vitali del nostro unico Pianeta e realizzare una trasformazione radicale, è necessario abbandonare l’attuale sistema finanziario globalizzato e ultra-energivoro, che ha come unico scopo quello di creare un consumo apparentemente illimitato, alimentando così le emissioni tossiche. Un sistema economico che, in un periodo relativamente breve della storia umana, ha distrutto i sistemi naturali della Terra, cieco al capitale più vitale di tutti: quello fornito dalla natura, sfruttata in maniera parassitica e consumata a un ritmo sfrenato. Se davvero questa pandemia qualcosa ci può insegnare è quello di farci finalmente intraprendere un cambio di rotta radicale abbandonando l’ossessione per la crescita e per i consumi ormai insostenibili. Dobbiamo sostituire quel sistema economico con uno che rispetti i limiti del pianeta; che nutra «i suoli, le falde acquifere, le precipitazioni, i ghiacciai, i regimi dei venti e delle correnti, gli impollinatori, l’abbondanza e la diversità biologica»; che rispetti la giustizia sociale ed economica.