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L’eterna Magnani scolpita in panchina, anche pietrificata come “in scena”, non puoi guardare “altri che lei”

| 27 Ottobre 2020 | CINEMA

A Roma in occasione della Festa del Cinema a Largo Fellini si è potuto ammirare la statua in bronzo in onore della splendida Anna Magnani, “seduta su una panchina rossa,  simbolo della lotta contro la violenza sulle donne”.  Non è un caso la scelta della Magnani, ritenuta dagli organizzatori, l’attrice che “meglio… incarna lo spirito delle donne romane, resilienti e combattive”. L’omaggio all’attrice voluta dalla Fondazione Sorgente Group “Donne e cinema”, creata da Antonio Nigro, ed esposta tra la fine di Via Veneto e le mura Aureliane.

Nell’osservare la figura e la sua storica forza, anche immobile continua a emanare un valore immenso, con il suo carattere indomito, difficile, diretto ed esplosivo, tanto nella rabbia quanto nella gioia. Un volto autentico, segnato, rispetto alle tante attrici belle e patinate, lontane dalle realtà e irraggiungibili. Mentre il suo appare tormentato, familiare, che parla di ferite, fatica, in cui qualsiasi spettatore facilmente si riconosce. La sua asprezza diventa la sua fortuna, un dolore trasformato in arte, riscatto e successo professionale. Ma che non corrisponde sempre a quello personale e non basta a renderla felice, nonostante il grande coraggio e le tante sfide.

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La vita di Anna Magnani non inizia nel miglior dei modi, nasce a Roma il 7 marzo 1908, da una breve relazione della madre Marina, e da cui prende il cognome, non conoscendo mai il padre, sembra di origine calabrese. Purtroppo, presto anche la figura materna, sarta di Fano, si allontana e affida Anna alle cure della nonna, con cui cresce insieme alle zie. Mentre la madre poi si sposta ad Alessandria d’Egitto, dove sposa “un ricco e facoltoso austriaco”, e la Magnani riesce a incontrarla e a raggiungerla ormai giovane. Ma torna presto a Roma, dove frequenta il liceo per due anni e si dedica anche al pianoforte, che abbandona per la recitazione, seguendo insieme a “Paolo Stoppa la scuola di arte drammatica Eleonora Duse, diretta da Silvio D’Amico” dal 1927. D’Amico nel conoscerla aggiunge conquistato: “Ieri è venuta una ragazzina, piccola, mora con gli occhi espressivi. Non recita, vive le parti che le vengono assegnate. È già un’attrice…”.

Inizia a lavorare nelle compagnie teatrali e poi al cinema e arrivano i primi successi come Teresa Venerdì con De Sica,  e Ossessione. Fino alla fama internazionale Roma città aperta di Roberto Rossellini nel 1945. E altri film come L’onorevole Angelina, Vulcano, Camicie rosse, La rosa tatuata, Bellissima, Mamma Roma. Le sue interpretazioni, l’espressività, il tormento e la risata sono un successo straordinario, la voce di Roma e un prestigio italiano nel mondo. Arrivano i riconoscimenti di grande attrice dalla  personalità unica.

Di lei Suso Cecchi D’Amico dice ancora: “Aveva sempre le occhiaie, un colorito terreo e i capelli neri come non si può immaginare, della consistenza di una matassa di seta pesante. Le gambe erano magre e leggermente storte, era piccolina e forte di fianchi. Aveva un décolleté splendido, come pure lo erano le mani e i piedi. Dovunque entrasse e in scena, non guardavi altri che lei”.

La vita sentimentale con il suo carattere esplosivo, complicato, eccessivo, litigioso, probabilmente non aiuta le relazioni come il matrimonio prima con il regista Goffredo Alessandrini, e la storia con l’attore Massimo Serato, da cui ha l’’unico figlio Luca nel 1942. Serato “l’abbandona non appena lei rimane incinta”, altro dolore a cui si aggiunge la malattia del figlio colpito di poliomielite.

E come non ricordare la passione tra lei e Roberto Rossellini, che la dirige in Roma città aperta e che dopo tante liti, Roberto con la scusa di portare a spasso i cani sotto l’hotel Excelsior, la lascia partendo per l’America e incontrare la bella e talentuosa Ingrid Bergman. D’altronde lei stessa ammette che: “I grandi amori non esistono: son fantasie da bugiardi. Esistono solo piccoli amori che durano un periodo di tempo più o meno breve”. E forse anche per Rossellini quella famosa mattina, si conclude il suo tempo. Eppure tra i suoi amori è il marito a lasciarle un ricordo migliore: “Ho trovato sempre uomini, come definirli? carucci. Dio: si piange anche per quelli carucci, intendiamoci, ma sono lacrime di mezza lira. Incredibile a dirsi, il solo uomo per cui non ho pianto lacrime di mezza lira resta mio marito: Goffredo Alessandrini. L’unico, fra quanti ne ho conosciuti, che mi stimi senza riserve e al quale sia affezionata. Certo non furono rose e fiori anche con lui. Lo sposai che ero una ragazzina e finché fui sua moglie ebbi più corna di un canestro di lumache”. 

Le delusioni, l’amarezza viene in parte compensate con il Premio Oscar per La rosa tatuata del 1955 e altri premi poi come Golden Globe, il David di Donatello. Lavora con grandi artisti Totò, Aldo Fabrizi, il grande Pasolini in Mamma Roma, con cui sono noti anche i contrasti. Infatti, Anna si sente troppo soffocata dai controlli e suggerimenti del regista. Ma la Magnani non è facilmente gestibile definendosi un cavallo “al quale non bisogna metter briglia”.

E anche nel film il Vulcano con il regista Mr. Dieterle, il carattere non si risparmia e pretende circa 60 milioni di Lire, con l’aggiunta di tanti capricci, come quello di presentarsi non prima di mezzogiorno sul set. Troppo presto per creare, ma non troppo tardi per dormire. Ma ormai, Anna è pur sempre la Magnani! Un’attrice internazionale, tra le poche italiane ad avere una stella nella Hollywood Walk of Fame e ritenuta in un giudizio unanime di pubblico e critica, intellettuali compresi una grande interprete drammatica e comica, che dice tutto anche senza parlare. Riceve i saluti persino dallo spazio da Gagarin nel 1961: “Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani”. Resta tutt’oggi,  tra le migliori nella storia del cinema. Appare l’ultima volta nel film di Federico Fellini Roma, nel 1972 quando “ridendo, chiude il portone davanti alla macchina da presa e lì conclude la sua carriera cinematografica”.

La Magnani si spegna a soli sessantacinque anni il 26 settembre nel 1973, per un tumore al pancreas. Troppo presto,” assistita fino all’ultimo dal figlio Luca e da Rossellini”, con cui riprende i rapporti. E viene sepolta nel cimitero di San Felice Circeo vicino alla sua villa.

Eppure la Magnani, nonostante il caratteraccio, e una bellezza atipica, resta ineguagliabile nelle sue espressioni. La sua anima s’impone e cattura l’attenzione con i suoi malumori, le ferite e sconfitte. Persino la sua statua continua a raccontare e suggerire qualcosa. E sedendosi vicino, nonostante una certa freddezza, ci si sente a proprio agio nel condividere un mondo amaro, che si libera in grasse risate, tra gioia e pianto, sfuriate e slanci, come la sola Nannarella e la sua contagiosa umanità. Per lei la vita nonostante: “I tempi felici… brevi…  è bella lo stesso”.

A Franco Zeffirelli in “una delle sue tante confessioni notturne” tra la “cosa più vera, più sincera, più commovente”, confida: «Io sono una stronza, io dovevo nascere contadina nell’agro romano, fare tredici figli, sì, scodellare figli a mio marito e ogni volta che aprivo bocca quello mi riempiva la faccia di schiaffi. Questo era il personaggio mio, per essere vera con la mia natura. E dovevo far così. Invece mi son messa a far l’attrice, sono diventata Anna Magnani e sono stata un’infelice per sempre».

TAG: Anna Magnani, cultura, Festival del Cinema, Pasolini, roma
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