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Il paradosso della modernità svela la debolezza dell’uomo

| 4 Maggio 2020 | ATTUALITÀ

Nelle affollate aule della Sapienza, capitava spesso che gli esami di antropologia culturale durassero pochi secondi; il tempo di pronunciare l’infausta frase “i popoli più arretrati” che la professoressa invitava il malcapitato studente ad alzarsi e tornare nei prossimi mesi.

Lei è capace di accendere il fuoco con una pietruzza e dei bastoncini? Riesce a cacciare un animale costruendo una lancia? Chiedeva il docente, aggiungendo, perché allora li definisce arretrati, e rispetto a cosa? Naturalmente dei paradossi che avevano essenzialmente il compito di svelare la contraddizione che si cela dietro il mito della perfezione della modernità.

La dimostrazione più evidente ce l’ha data la pandemia che ha colpito il mondo: poche settimane e l’impatto pressoché globale del Coronavirus ha fatto crollare tutte le certezze aggrappate attorno alla narrazione idilliaca della nostra modernità. Tutto ciò che sembrava assodato e scontato terminava di esserlo, i gesti compiuti senza consapevolezza acquisivano improvvisamente una consistenza differente.

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Nel frattempo il Governo italiano, a colpi di conferenze stampa e autocertificazioni, procedeva a una necessaria e dolorosa privazione delle nostre libertà. Il fine giustificava i mezzi, seppur i modi, tradotti in pessime strategie comunicative, accantonamento del Parlamento, poca chiarezza nei provvedimenti adottati, si rivelavano disastrosi.

Improvvisamente però ci veniva restituito il nostro tempo, non con poco smarrimento generale. Toccava di nuovo a noi prendere in mano le nostre giornate, dargli forma e significato, riempirle di sostanza. La realtà è che questa nuova dimensione ci rendeva orfani della nostra dipendenza frenetica con l’ambiente.

Si è più volte detto di Jeff Bezos, proprietario di Amazon, che riuscendo a scorgere e a decifrare l’algoritmo della frenesia moderna, sia riuscito a divenire l’uomo più ricco del pianeta.

Niente formule trascendentali, soltanto la promessa di venderci prodotti apparentemente a noi utili, neanche al miglior prezzo ma soprattutto promettendoci di portarceli il giorno dopo o addirittura, in alcune città, dopo qualche ora; scevri dai sensi di colpa grazie all’utilizzo della moneta virtuale, potevamo finalmente incontrare Babbo Natale coi pacchi “dono” mediamente una volta a settimana.

In una apparente contraddizione, l’unica certezza che permane è quella di non avere più certezze. Come se ne esce allora? Pronunciata tesi e antitesi, ora tocca pervenire a una sintesi. Nessuno può vantare formule magiche, lo stesso stuolo di commissioni di esperti in ogni campo procede per approssimazione.

E allora, nell’attesa di individuare una via di uscita a questa situazione, potremmo avvantaggiarci cercando di dare un significato a questa lezione non richiesta piovuta dal cielo. Tra le perversioni linguistiche che la modernità ha voluto imporci, c’è quella di legare al concetto di crisi una zavorra di negatività.

Un’analisi attenta, non solo etimologica, ci porta a scoprire però che nell’antichità il termine crisi aveva un significato tutt’altro che negativo. Crisi era simbolo di trasformazione, o meglio, di liberazione da cose superflue; dopotutto il termine si fa risalire al lavoro compiuto dai contadini durante la fase di separazione del grano dalla pula.

Per questo solo interpretando in questo modo la crisi come forma di liberazione da cose inutili, metabolizzando lo shock della rottura della nostra routine, riusciremo a scoprire che questo tempo infausto non è passato invano.

TAG: coronavirus
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