
Pier Paolo Pasolini resta sempre un personaggio che suscita grande interesse, un intellettuale controverso dalla fine tragica ed ancora misteriosa il cui messaggio è sempre attuale e dibattuto.
Anche nell’estate romana appena conclusa l’ autore è stato ricordato in una serie di iniziative che si sono succedute per molti mesi, dalla primavera fino a settembre inoltrato.
Cominciamo con la mostra fotografica “Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia” , che presso il centro culturale We Gil di Largo Ascianghi ha proposto un’ ampia documentazione della vita culturale romana fino a tutti gli anni settanta, con un grande successo di pubblico. Molti gli scatti dedicati a Pasolini, come anche a Moravia, Bertolucci ed a tanti altri protagonisti di quella stagione. Alla fine di maggio, nell’ambito dell’ esposizione, si e svolta la serata In luce e nelle buie viscere, giorni e notti di Pier Paolo Pasolini con Giuseppe Garrera, Renzo Paris, Giuseppe Pollicelli, Fabio Sanvitale.,
Nell’ occasione è stato presentato Pasolini Poesia e Sangue , un documentario di Fabio Sanvitale che prende le mosse dall’ inchiesta giornalistica realizzata dallo stesso Sanvitale con Armando Palmegiani per il loro libro Accadde all’Idroscalo.
Il corto dura 37 minuto a passo di corsa, e con ritmi serrati propone una tesi diversa da quella ufficiale sull’ omicidio di Pasolini. L’ autore lo descrive come come una trappola organizzata da Pelosi e dai fratelli Borsellino, due giovani, usando come esca le pizze cinematografiche del film Salò che erano state rubate da un magazzino nella notte tra il 14 ed 1l 15 agosto del 1975. Secondo questa ricostruzione i due fratelli, probabilmente ispirati dal malavitoso romano Sergio Placidi, avrebbero contattato Pasolini attraverso Pelosi chiedendogli un cospicuo riscatto per restituirgli le pellicole ed organizzando un incontro con la scusa di cercare un accordo. In quell’occasione Pasolini sarebbe stato ucciso da un gruppo di picchiatori per metterlo a tacere una volta per tutte. Di quel gruppo avrebbe anche fatto parte il carrozziere Antonio Pinna, sparito poco dopo l’ omicidio e forse legato alla banda del Marsigliesi e a certi ambienti contigui ai servizi segreti deviati.
La tesi, ben argomentata, era stata già a suo tempo sostenuta da Ugo de Rossi, montatore cinematografico ed amico di Pasolini che fu ascoltato sul punto in procura nel lontano luglio 2010.
A seguire è stato proiettato il trailer “Io muoio e anche questo nuoce” di Giuseppe Pollicelli.
la presentazione è stata seguita da un appassionato dibattito con Igor Patruno, Giuseppe Garrera, Renzo Paris e lo stesso Giuseppe Pollicelli.
La sala era gremita e non c’era un posto libero, neanche in piedi.
Pochi giorni dopo, il 5 giugno, il pubblicista ed avvocato Gianluca Ruotolo, autore di quest’ articolo, ha presentato presso la sede dell’UNAR con il Fogolar Furlan il volume intitolato il Pasolini borghese. Autore il professor Gianfranco Tomei, docente all’ università degli studi di Roma La sapienza.
Dopo il saluto del presidente Pittoni è intervenuto l’ autore per una introduzione, illustrando i contenuti e lo scopo del libro. Tomei ha raccontato di essersi avvicinato a Pasolini sulla scorta della lettura degli scritti giornalistici (i famosi Scritti Corsari e le Lettere Luterane), del romanzo Petrolio e anche della lettura del Teatro pasoliniano (i famosi quanto poco letti Affabulazione, Orgia, Porcile, Calderon ecc.), capendo così che Pasolini era stato l’unico autore italiano ad aver affrontato di petto una modernità che incalzava come una marea montante e che molti intellettuali sul suo stesso piano si erano rifiutati di vedere e denunciare, forse per paura di rimanere isolati dal contesto culturale dominante. Per Tomei lui solo ebbe lo sguardo sufficientemente lucido per inoltrarsi in un territorio che per i più era proibito, anzi da proibire.
Oggi, poco più di venti anni dopo, Tomei ha scritto “Il Pasolini “Borghese” utilizzando questo titolo proprio perché non crede si debba immaginare Pasolini come un appartenente alla classe popolare o come un rozzo contestatore inconsapevole dei mezzi espressivi che utilizzava. Pasolini infatti si è sempre definito un borghese che contestava la piccola borghesia italiana dall’interno, un uomo che aveva modi raffinati, eleganza nel vestire, amici colti come amici provenienti dal popolino.
Quella che lui criticava era la borghesia “tronfia” di se stessa, la borghesia degli arricchiti, l’ansia del consumo che la pervadeva e l’arroganza del consumismo con i suoi feticci da consumare come in una messa laica, profana e blasfema. Il suo amore per il popolo era un amore cristologico che però non gli faceva dimenticare le sue origini (era figlio di un ufficiale fascista e di una maestra) e il suo rango. Sapeva che antropologicamente era diverso dai suoi amici sottoproletari ma con loro aveva una confidenza forse un po’ guascona che non trovava nella sua classe sociale di appartenenza. E poi era anche in contrasto con i suoi amici “progressisti”, i quali pensavano che con un po’ di soldi in saccoccia in più i problemi delle classi povere sarebbero come svaniti. E questo, al contrario, era un altro punto che lo divideva dai marxisti e dalla sinistra – anch’essa borghese- di quel tempo. Questo libro – ha concluso Tomei – vuole ricordare soprattutto il suo ultimo periodo, quello “nero”, cupo, quello di Salò e Petrolio, in cui, borghese fra i borghesi, lamenta la scomparsa della classe – e soprattutto dei ragazzi – sottoproletari, dei Gennarielli come li chiamava lui, che cedono il passo ad una gioventù omologata e nevrotica, piena di ansia per il domani e di beni superflui.
A seguire l’ intervento di Ruotolo che ha iniziato con un cenno alle lingue di Pasolini, italiana e friulana.
Ii friulano di pasolini, per cominciare, è diverso da quello classico parlato a san Daniele nel centro della regione, nella famosa koinè etnico linguistica. Quella lingua viene da oltre il Tagliamento, di là da l’ aga come si dice nella Piccola Patria, una parlata a cui l’ autore ha dato per primo digntà letteraria con le sue opere giovanili e quindi con la fondazione della famosa Academiuta di lenga furlana.
Idem per quanto riguarda l’ italiano di Pasolini, che in molte sue opere, per scelta, non è quello classico dell’ intellettuale ma è una lingua vicina a quella delle classi popolari, frammista con il romanesco e con la parola degli umili. Questa lingua nuova e discussa è soprattutto quello di alcune sue opere quali ragazzi di vita e Una vita violenta, che ha subito attacchi anche aspri e duri dalla critica, anche da quella di orientamento comunista . Un’altra polemica linguistica ben fondata Pasolini la ebbe con Fortini, che difendeva in versi il suo proprio modo di esprimersi, scrivendo in un italiano classico più che antico. Fortini scrisse sul punto dei versi famosi ( più morta di un inno sacro/ la sublime lingua borgese è la mia lingua. Non conoscerò che me stesso, Pasolini… . La mia prigione vede più della tua libertà).
A giardarla con gli occhi di oggi sembra che siano passati mile anni ma è una questione dirimente e piena di senso.
Successivamente Ruotolo ha descritto vari lati dell’ anticonformismo pasoliniano, declinato sotto vari aspetti personali e politici.
Il primo punto, uno dei più noti ed importanti , è quello politico. Pasolini è senz’ altro un comunista, ma un comunista anomalo, dalla storia accidentata e complessa. Iscritto al patito nel 47, diventa nel 1949 segretario della sezione di Casarsa salvo essere poi espulso nell’ ottobre dello stesso anno per un episodio di omosessualità tra ragazzi. La vicenda, consumatasi proprio nei dintorni del paese, fu anche oggetto di un noto processo di cui parlò anche la stampa.
Anche nei decenni successivi, con il cambiare dei tempi e delle sensibilità, Pasolini fu sempre un comunista eretico molto critico verso il suo partito ed in particolare verso l’ accettazione di logiche borghesi. Si tratta di una tensione costante, presente in molte delle sue opere.
La seconda questione è quella religiosa. Qui Pasolini dimostra una sensibilità cattolica sfaccettata, prima di carattere quasi mistico ( come descritto del suo diario Pagine Involontarie) e quindi , da adulto, molto più critica, come si legge e si capisce benissimo nell’ Usignolo della Chiesa cattolica. L’ Usignolo è una importantissima opera cerniera che illustra una dialettica forte tra vecchio e nuovo, tra religiosità e sessualità ed anche – un passaggio importantissimo – tra cattolicesimo e comunismo.
Una sorta di dialettica degli opposti risolta in chiave poetica.
Pasolini si presenta come un cattolico critico ed antico – soprattutto evangelicamente antico – anche per interposta persona, come si coglie – benissimo – in un passo della Ricotta, film in cui si ritrovano molti temi della Passione di Cristo. NAd esempio, nell’ intervista a Orson Welles che interpreta il regista, l’ inviato del giornale Tegliasera chiede al maestro cosa intenda esprimere con la sua nuova opera.
La risposta è chiara ed inequivocabile: Il mio profondo, intimo, arcaico cattolicesimo.
Un altro punctum dolens che rendeva Pasolini profondamente lontano ed alieno dall’ Italia ingorda ed ottimista del suo tempo era l’ atteggiamento verso la trasformazione neocapitalistica – termine usato spesso da Raniero Panzieri – del paese verso il benessere, con il passaggio dalla povertà del dopoguerra alla società dei consumi e la – conseguente e veloce – trasformazione del proletariato in piccola borghesia , di cui assorbiva in fretta i gusti e la cultura. Per Pasolini si trattava di uno stravolgimento senza ritorno, di una violenza vista come un genocidio culturale ed antropologico che avrebbe portato alla fine di una cultura popolare e contadina che affondava le sue radici nel tempo dei millenni.
Si tratta in sostanza di una fondata critica della modernità fatta con le parole della tradizione, perchè Pasolini , come detto da lui, si considerava una forza del passato, si reputava il figlio di una madre morta
Infine, ma questa vicenda è più nota, Pasolini fu anche un eretico del sesso in teoria ed in pratica, a cominciare dal già citato Pagine Involontarie per giungere ai Ragazzi di Vita.
Quest’ opera in particolare fu duramente criticata dal Pci e dai suoi intellettuali di punta, come Asor Rosa e Salinari
E questo per tacere della sua lunga e costante frequentazione mercenaria – che forse gli costò la vita – in un paese cattolico, eterosessuale e fertile che in quel momento aveva una dinamica demografica scatenata e che non poteva giudicare negativamente questo suo amore sterile e riprovato ( la definizione è di Kavafis).
Tutte queste ragioni, unitamente ad una vocazione ad un tempo indagatrice, analitica e ribelle che la allontanava dai compromessi con il potere politico sono state le ragioni del suo isolamento ed in ultima analisi della sua fine.
Tomei e Ruotolo sono stati seguiti con molto interesse ed applauditi a lungo dal pubblico, che è intervenuto con una lunga serie di domande. La conferenza è durata oltre due ore ed ha avuto un grande successo, ben oltre le aspettative.
Ai primi di settembre, al ritorno dalle vacanze, presso Villa Maraini in Roma ( sede dell’ istituto Svizzero di Cultura) si è svolto un incontro con la proiezione del film “Edipo re” di Pier Paolo Pasolini, organizzato dall’università Svizzera Italiana (USI).
Liberamente ispirato alla tragedia di Sofocle, il film di Pasolini racconta in maniera abbastanza fedele la storia di Edipo nell’antica e barbarica Grecia, inserendo però un prologo e un epilogo in età moderna. Nel film, dai chiari riferimenti autobiografici, un bambino nasce da una giovane coppia nel Nord Italia. Siamo negli anni venti ed il padre, militare di carriera, è geloso del figlio temendo che il bimbo possa rubargli l’affetto della moglie. Successivamente la scena cambia e si sposta nell’ antica Grecia, dove un pastore incontra nel deserto un uomo che porta con se’ un bambino molto piccolo e che poi lo abbandona. A quel punto egli lo raccoglie per poi portarlo al suo sovrano Polibo re di Corinto, che lo adotta assieme alla moglie Merope, sterile.
I rimandi del film ad una sensibilità moderna sono numerosi, dal riferimento in verità piuttosto velato al complesso di Edipo di Sigmund Freud ad alcune assonanze col pensiero di Nietzsche.
L’ impronta autobiografica è forte, tanto che Pasolini ha scritto: «in Edipo, io racconto la storia del mio complesso di Edipo. Il bambino del prologo sono io, suo padre è mio padre, ufficiale di fanteria, e la madre, una maestra, è mia madre. Racconto la mia vita mitizzata, naturalmente resa epica dalla leggenda di Edipo».
Il pubblico in sala, particolarmente giovane, ha reagito con stupore e sorpresa a questo film che, girato nel 1967, riesce ancora a scuotere le coscienze per la sua forza d’impatto originale e primigenia. Per l’ autore Edipo simboleggia l’ uomo occidentale, accecato dai lustrini e dalla vita senza alternative che conduce fino ad essere incapace di sviluppare una critica del se’.
E infatti le domande del pubblico si sono concentrate sul percorso quasi iniziatico di Edipo e sulla sua mancanza di alternativa nell’andare incontro al suo Destino.
L’ estate romana di Pasolini finisce così.