Per anni, molte patologie venivano inserite in un contesto genetico. Senza andare mai in profondità o magari cercare altre risposte.
A 23 anni dalla scoperta del primo fattore genetico collegato con la depressione, e dopo l’identificazione nel corso degli ultimi due decenni di diverse altre variabili genetiche correlate con i disturbi depressivi, un’ampia ricerca pubblicata sull’American Journal of Psychiatric ha tolto dal campo questa correlazione.
Lo studio ha infatti dimostrato l’assenza di legami statisticamente significativi tra i principali 18 geni individuati almeno dieci volte nei principali studi e la depressione. La ricerca, dal titolo “No Support for Historical Candidate Gene or Candidate Gene-by-Interaction Hypotheses for Major Depression Across Multiple Large Samples”, fatta in Colorado, ha utilizzato per la prima volta una vastissima banca di biodati con genoma provenienti da ampi campioni di popolazione e di controllo, arrivando ad un numero totale di 620 mila persone.
I risultati illustrati sono inequivocabili: nessuna chiara evidenza scientifica di collegamento è stata trovata tra i geni studiati e la depressione. Non risultano differenze significative di correlazione con i disturbi depressivi maggiori tra i 18 geni individuati rispetto agli altri geni.
Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche quindi non ci sono garanzie che una persona soffrirà di una depressione in base alle caratteristiche di uno o più geni. “Siamo lontani dalla conoscenza di rapporti certi tra genetica e depressione, mentre l’ambiente sembra giocare il ruolo fondamentale”, afferma lo psichiatra Massimo Cozza, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Roma 2, uno dei più grandi in Italia.
E’ sicuramente probabile, che oggi l’individuo, nella società super frenetica sia spinto a dei livelli di stress e tensione molto elevati. La fotografia scattata dal direttore del Dipartimento di Salute Mentale e di Uso di sostanze presso l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), Devora Kestel, a Trieste, in occasione della presentazione di una relazione sulle “prospettive dell’Oms per il futuro della Salute Mentale Globale”, poco tempo fa, non lascia ombra di dubbio: le malattie mentali e neurologiche sono in aumento, così come cresce l’uso di sostanze.
Al primo posto nella classifica delle problematiche legate alla salute mentale globale c’è la depressione, che non conosce distinzioni di tipo socioeconomico, perché colpisce indistintamente tutti. C’è poi un abbassamento dell’età in cui si presentano questi disturbi, così come si abbassa l’età dei suicidi.
La depressione colpisce in Italia circa 3,5 milioni di persone, ma solo una su due riceve un trattamento corretto e tempestivo. Andando in profondità, secondo un’analisi della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica, il diritto di cura si è dimezzato per le persone con disturbi psichiatrici.
Rispetto al bisogno di psicoterapia e riabilitazione, i Dipartimenti di salute mentale presenti sul territorio sono in grado di fornire solo il 55% dell’assistenza necessaria.Tra consulenza, cura e presa in carico, il loro fabbisogno di assistenza al mese è pari a oltre un milione e 200mila ore.
Sulla base del Rapporto sulla Salute Mentale del Ministero Salute (la cui versione aggiornata è attesa per il 26 giugno), l’analisi della Siep ha calcolato che, a essere effettivamente impegnati nelle attività territoriali erano 4.696 medici psichiatri e 1.058 psicologi, per una capacità assistenziale al mese di 677.580 ore, a fronte delle circa 1,2 milioni necessarie.