
Il governo giallo-verde ha da pochi giorni compiuto il suo primo anno. Esattamente un anno fa, nei giorni immediatamente successivi il suo insediamento, l’esecutivo Conte attirò su di sè numerose attenzioni, in Italia ma anche all’estero, per alcune dichiarazioni fatte dal presidente del consiglio in merito alle relazioni tra l’Occidente e la Russia.
Nel suo discorso d’insediamento pronunciato davanti al Senato, il premier Giuseppe Conte si disse favorevole a una “revisione del sistema delle sanzioni” alla Russia in modo da ripristinare normali relazioni economiche e diplomatiche con Mosca. Una settimana dopo l’insediamento del governo, Conte ebbe la possibilità di confrontarsi per la prima volta con alcuni suoi colleghi durante il G7 tenutosi in Canada. Durante quell’occasione Donald Trump e Conte sembrarono convergere sull’idea di riammettere la Russia nel G8. A parte che altri capi di governo non erano d’accordo, il presidente russo Vladimir Putin declinò rapidamente l’invito. Alla fine non si è andati oltre qualche timida dichiarazione d’intenti.
Il punto è che in questo primo anno di governo Conte l’auspicata revisione del sistema sanzionatorio non c’è stata. Anzi, il governo ha sempre appoggiato la riconferma delle sanzioni in sede europea. Come mai l’Italia non sia riuscita a cambiare positivamente il corso delle relazioni tra Russia e Occidente è abbastanza logico. Roma non ha voce in capitolo su tale questione. Abbiamo un potere negoziale irrisorio. Il fatto che le nostre imprese dell’agro-alimentare stiano subendo perdite a cause delle sanzioni non ci legittima come mediatori nella contesa diplomatica. Per esempio, l’Italia non è tra i firmatari del protocollo di Minsk II dalla cui implementazione dipende in parte il rinnovamento delle sanzioni.
Inoltre non bisogna dimenticare che l’attuale crisi diplomatica con la Russia non coinvolge solo l’Unione Europea ma anche, anzi soprattutto, gli Stati Uniti. Washington considera Mosca un competitor strategico nell’ambito di una rinnovata competizione tra grandi potenze su scala globale. Pertanto, verosimilmente, fino a quando gli Stati Uniti sanzioneranno la Russia l’Unione Europea farà lo stesso.
La questione che qui si vuole discutere è però un’altra. In Italia sono numerose le voci che chiedono la fine delle sanzioni alla Russia. La Lega, almeno a parole, si è sempre schierata contro le sanzioni. Ma sono soprattutto gli imprenditori, specialmente quelli del settore agro-alimentare, che chiedono la fine delle sanzioni. Per essere precisi il settore agro-alimentare italiano non è stato colpito dalle sanzioni bensì dalle controsanzioni. Il governo russo impose un embargo sulle importazioni di prodotti agro-alimentari dall’Unione Europea e da altri paesi occidentali come ritorsione per l’imposizione delle sanzioni.
Chi chiede la fine delle sanzioni lo fa innanzitutto in nome delle perdite economiche subite dall’Italia in questi cinque anni di crisi diplomatica. In effetti le nostre aziende hanno visto chiudersi le porte del mercato russo, un mercato molto interessato ai prodotti nostrani. Pertanto tali richieste sono più che comprensibili. Il fatto è che ridurre la questione delle sanzioni in termini solamente economici è riduttivo, semplicistico e fuorviante. Infatti, non dobbiamo mai dimenticare il motivo per cui si è deciso di imporre le sanzioni alla Russia.
Tutto è partito dall’annessione della Crimea. A prescindere dalle motivazioni strategiche e dai tentativi russi di legittimare l’aggressione, la Russia ha invaso militarmente l’Ucraina e si è annessa la Crimea. Per la prima volta dal 1945 i confini di uno Stato europeo sono stati modificati con la forza. Si è trattato di un’invasione militare finalizzata alla conquista del territorio. Un atto di deliberata violenza che ha destabilizzato l’Europa e messo in pericolo l’integrità territoriale dell’Ucraina. L’annessione della Crimea andava giustamente sanzionata: è stata violata con le armi la sovranità di uno Stato europeo. Rimanere inermi avrebbe significato legittimare l’uso della violenza per modificare i confini in Europa, con tutte le imprevedibili conseguenze del caso.
L’annessione della Crimea è stato il primo elemento che ha generato il crollo delle relazioni diplomatiche tra la Russia e l’Occidente. Le sanzioni e poi le controsanzioni hanno inasprito ulteriormente le relazioni ma si tratta di conseguenze dirette dell’aggressione militare russa. Da allora le relazioni tra Mosca e l’Occidente non sono più tornate alla normalità.
Lamentare il fatto che il regime sanzionatorio abbia danneggiato l’economia italiana è comprensibile ma non si può ignorare il fatto che la Russia abbia violato la sovranità di uno Stato europeo e se ne sia annessa una porzione non indifferente. La questione delle sanzioni non va letta solo in termini economici. Qui c’è in ballo la sovranità degli Stati, la legittimazione dell’uso della forza nelle relazioni tra Stati europei e la credibilità dell’Occidente. È una questione di politica internazionale e leggerla unicamente attraverso le lenti del profitto economico è pericolosamente riduttivo.
Cancellare le sanzioni da un giorno all’altro sarebbe una plateale perdita di credibilità per l’Occidente. La rimozione delle sanzioni dovrebbe essere il frutto di uno scambio: la Russia riconsegna la Crimea all’Ucraina e l’Occidente annulla le sanzioni. Altrimenti si legittima l’aggressione di Mosca, che infine vincerebbe la partita con l’Occidente.
Che fare, dunque? Dalla primavera del 2014 le relazioni tra Russia ed Occidente sono al minimo storico dai tempi della fine della Guerra Fredda. Le sanzioni non hanno contribuito al loro miglioramento ma d’altro canto non era questo il loro scopo. Proporre soluzioni per riportare alla normalità le relazioni tra Occidente e Russia è compito di diplomatici, analisti e politici. Il punto è che non si può parlare di rimuovere le sanzioni senza prima aver preso consapevolezza che la Russia ha violato la sovranità dell’Ucraina, ha annesso la Crimea e per questo è stata sanzionata.