Il tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a processare il ministro dell’interno Matteo Salvini per sequestro di persona nell’ambito della vicenda legata della nave Diciotti della guardia costiera, risalente alla scorsa estate. Tale autorizzazione dovrà essere concessa dal Senato e proprio su questo punto la maggioranza appare spaccata. Il Movimento 5 Stelle, da sempre dalla parte della magistratura, è tentato di concedere l’autorizzazione, nonostante le pericolose ripercussioni che tale decisione avrebbe sulla tenuta del governo. I senatori leghisti, ovviamente, voteranno compatti contro.
Ci risiamo. La richiesta del tribunale dei ministri di Catania ha riportato al centro del dibattito il difficoltoso rapporto tra magistratura e politica, dove la seconda accusa la prima di ingerenze motivate non da fattori giudiziari bensì squisitamente politici. “La richiesta di rinvio a giudizio del tribunale dei ministri è una follia sul piano politico e tecnico” ha commentato Marco Maggioni, deputato della Lega. Il problema però – continua – è il protagonismo di una certa magistratura. Un protagonismo che a volte diventa trampolino di lancio per arrivare alla politica. In fondo, è un’opportunità per molti magistrati: si va in politica e poi, se va male, si torna a fare i giudici”. Insomma, le cosiddette toghe rosse tornano all’attacco nel tentativo di colpire per via giudiziaria una linea politica, quelli dei “porti chiusi”, che in termini elettorali sta pagando bene, secondo i sondaggi, ma che è osteggiata dalla sinistra e da buona parte della stampa oltre che da numerosi intellettuali e attivisti. È questo quello che in molti a destra pensano, mentre a sinistra ci si sfrega le mani nella speranza di veder cadere la testa di Salvini e possibilmente con essa anche il governo.
Ora, a prescindere dalle correnti che attraversano la magistratura, pur tenendo presente che essa è indipendente dal potere politico e che tale indipendenza è uno dei pilastri irrinunciabili di qualsiasi regime democratico, ciò su cui si vuole porre l’attenzione in questa sede è la strumentale delegittimazione della magistratura che viene fatta dalla politica, a destra come a sinistra. Ad essere precisi la strumentalizzazione dei casi giudiziari non viene perpetrata solo da esponenti politici, ma anche da giornalisti, intellettuali e attivisti.
In poche parole, la magistratura non viene mai accusata di ingerenze negli affari politici tout court ma viene accusata di ingerenze solo quando i suoi provvedimenti ledono le proprie convinzioni politiche. Di conseguenza, gli attacchi alla magistratura non sono mai bipartisan. Un paio di esempi aiuteranno a chiarire. Quando l’ex sindaco di Riace Domenico Lucano venne messo agli arresti domiciliari lo scorso ottobre, lo scrittore Roberto Saviano scrisse che tale provvedimento rappresentava “il primo passo verso un regime autoritario” e il responsabile di tale degenerazione era, chi l’avrebbe mai detto, il suo avversario giurato, Matteo Salvini. Saviano difese il sindaco di Riace dicendo che egli aveva semplicemente e banalmente “disobbedito civilmente”. Critiche più o meno velate nei confronti della magistratura vennero espresse da diversi esponenti di sinistra, secondo i quali era in corso un attacco deliberato per via giudiziaria a un simbolo dell’accoglienza riconosciuto a livello mondiale. Su tale vicenda non pervennero invece accuse alla magistratura da parte della destra. In quel caso evidentemente le toghe non scelsero un colore politico, bensì fecero solamente il loro lavoro. Lo schema si è ripetuto in questi giorni ma a parti invertite. La sinistra non si sogna di mettere in discussione la buonafede della magistratura e per Saviano come per nessun altro intellettuale di sinistra non è in corso un attacco alla politica da parte dei funzionari giudiziari. Per la destra invece si tratta delle solite toghe rosse che tentano di ottenere visibilità per un futuro in politica oppure la cosiddetta magistratura democratica vuole usare il suo potere per colpire la linea anti-immigrazione di Salvini che essa non condivide.
È evidente che esiste una lampante strumentalizzazione dei casi giudiziari, a destra come a sinistra. L’opinione espressa da personaggi pubblici come politici, giornalisti, intellettuali e attivisti riguardo a casi giudiziari che hanno a che fare con la politica e in particolar modo con l’immigrazione, è funzionale ed è subordinata ai propri ideali politici e non deriva dalla consapevolezza che la magistratura è indipendente e dal precetto secondo cui la separazione dei poteri è fondamentale in un regime democratico e che essa deve sempre essere monitorata e tutelata. Quando la magistratura prende provvedimenti restrittivi nei confronti di una politica che favorisce l’accoglienza, la sinistra grida al regime poliziesco mentre la destra si dichiara dalla parte dei giudici. Al contrario, quando la magistratura prende di mira le politiche di restrizione dell’immigrazione, la destra evoca le toghe rosse che vogliono darsi alla politica mentre la sinistra si compiace. I casi giudiziari vengono anche utilizzati per screditare i propri avversari politici ancor prima che venga emessa la sentenza di primo grado.
Queste strumentalizzazioni bipartisan hanno però un minimo comune denominatore: la delegittimazione della magistratura e la messa in discussione della sua indipendenza. Atteggiamenti da cui bisognerebbe astenersi in quanto nocivi per la salute di un qualsiasi regime democratico, anche se longevo come il nostro.