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Quei tre giudici che possono far cadere il governo

| 26 Gennaio 2019 | ATTUALITÀ, POLITICA

Due giudici civili ed uno penale, tutti scelti rigorosamente a sorteggio, e che per sorte sono capitati tutti di Magistratura Democratica, corrente di minoranza dei togati, sono i membri del Tribunale dei ministri di Catania che hanno chiesto l’autorizzazione per portare a processo sul noto caso della nave Diciotti, il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

L’inchiesta era partita dal procuratore capo Luigi Patronaggio di Agrigento, che aveva indagato per sequestro di persona il titolare del Viminale, che non aveva consentito lo sbarco di immigrati, dalla nave della Guardia di Finanza Diciotti, nel porto di Catania. Il procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro, detto lo sceriffo aveva poi chiesto l’archiviazione ritenendo la decisione del vicepremier e ministro dell’Interno scelta insindacabile perchè Malta avrebbe dovuto indicare ilporto più sicuro.

Ora i giudici del Tribunale dei ministri di Catania, Nicola La Mantia, giudice civile della IV° sezione fallimentare, Sandra Levanti, giudice civile e Paolo Corda, giudice penale della V° sezione, cui è, come da prassi, arrivato il fascicolo con l’archiviazione in via di approvazione, hanno rovesciato la decisione etnea e ritenuto che Salvini nella sua veste di ministro e pubblico ufficiale, abbia abusato delle funzioni attribuitegli. E Corda è il magistrato che nel 2016 scarcerò due scafisti nordafricani che avevano trasportato illegalmente 230 migranti in Italia accolgliendo la tesi degli avvocati
secondo la quale i due avevano agito occasionalmente.  Gli arresti contestati fanno riferimento, anche per la Diciotti, al fermo di scafisti.

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Adesso tocca al Senato entro fine marzo decidere se Salvini dovrà venire processato o meno, per reati (sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale), le cui pene in caso di condanna vanno dai 3 ai 15 anni. I senatori voteranno per concedere l’autorizzazione al procedimento penale o meno, giudicando nei fatti il ministro colpevole di avere tradito l’interesse dello Stato o innocente nell’averlo tutelato.

E’ come essere tornati nei primi anni ’90 quando le indagini richieste, le non autorizzazioni, le sentenze emesse sulla stampa, le reazioni togate, mescolavano lotta politica e procedure giudiziarie. Quando un’indagine, un avviso di garanzia, una richiesta d’autorizzazione valeva come una sconfitta elettorale o congressuale.

La decisione del Tribunale dei ministri coincide con un clima di rabbia in cui poltici della passata maggioranza e comunicatori progressisti hanno evocato la punizione del tribunale sommo su Salvini, simbolo della non accoglienza. Un tribunale morale come fu il tribunale di Norimberga contro i nazisti, è stato minacciato ed auspicato da Orlando, sindaco di Palermo; Vauro ha dato il suo anatema sul governo non democratico ed illegale, chiedendo la solidarietà del presidente della Camera; Mentana ha trovato normale accostare l’applicazione del Decreto Sicurezza voluto dal Ministro dell’Interno, e votato dal Parlamento, ai rallestramenti ed i campi nazisti.

La politica è fatta di diverse sensibilità ed opinioni. La giustizia dovrebbe essere una, fondata sulla legge. Le interpretazioni però corrispondono alle sensibilità ed opinioni diverse che passano anche tra i magistrati. Così ad ogni passaggio giudiziario i fatti del caso in questione hanno causato sempre decisioni diverse. Cosa che indebolisce la giustizia e, paradossalmente, in un momento di manifesta autorità, anche i togati.

In Senato i 58 voti leghisti, i 18 di Fratelli d’Italia ed i 61 di Forza Italia costituiscono un blocco di 137 senatori che dovrebbero respingere la richiesta di messa a processo, con qualche defezione date le contestazioni che anche i forzisti fecero sul caso Diciotti. Ad approvarla saranno sicuramente in 74. La maggioranza in Senato sta a quota 161; quindi l’esigua maggioranza pentastellata di 107 senatori sarà decisiva.

I 5 stelle, per loro linea storica, sempre di sostegno ai giudici, dovrebbero condividere la richiesta del Tribunale dei ministri, provocando facilmente la sconfitta di Salvini e la caduta del governo. Per evitare questo scenario catastrofico, dovebbero sostenere il leader della Lega, anche solo con 25-30 voti, quelli strettamente necessari, se il centrodestra resterà unito; oppure anche molto di più, se i forzisti si asterranno.

I 5 stelle perderanno in ogni caso. Perderanno la faccia davanti al proprio elettorato aiutando Salvini; oppure perderanno il governo. La Lega vincerà in ogni caso; sia mandato a processo o meno, Salvini apparirà il martire della volontà popolare che burocrazie e media non vogliono riconoscere, contrapponendole testi più o meno sacri.

D’altronde si sta manifestando troppo spesso divergenza tra i contenuti dei principi e quelli degli indirizzi indicati dal voto; proseguire a riguardo con lo scontro frontale non è salutare, ne è responsabilità univoca. E’ assurdo anche solo paragonare l’Olocausto alle vicende ricordate. Troppe volte lo scontro politico-istituzionale ha condotto a inutili iperboli demagogiche. Se si vuole, si trova sempre la corrispondenza tra il voto ed il principio da quello richiamato.

Nei primi anni ’90 l’opinione pubblica stava con le indagini richieste, le autorizzazioni, le sentenze anche se emesse sulla stampa. Oggi no, si ricorda anche troppo bene i guai seguiti a quell’ubriacatura. Nello scollamento di società ed istituzioni, si richiama sempre il popolo al rispetto; sarebbe incredibile che proprio i corpi istituzionali fossero più smodati.

TAG: caso diciotti, Corda, La Mantia, Levanti, Matteo Salvini, Tribunale dei ministri
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