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Bella del Signore, per non dimenticare la Società delle Nazioni

| 10 Gennaio 2019 | ATTUALITÀ, CULTURA

Il 10 gennaio 1920 la Società delle Nazioni si riunì per la prima volta a Londra e ratificò il Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno dell’anno prima, che metteva fine alla Prima guerra mondiale.

Nel discorso dell’8 gennaio 1918 sui quattordici punti per terminare la guerra e creare le condizioni per una pace duratura, il presidente americano Thomas Wodroow Wilson aveva lanciato l’idea di creare un’organizzazione sovranazionale. Alla conferenza di pace a Parigi, il 25 gennaio 1919, la proposta fu accettata e fu affidato a una commissione appositamente creata il compito di redigere lo statuto della futura organizzazione. I lavori iniziarono con molta calma… quasi un anno dopo.

Le vicende di quello che doveva essere nelle intenzioni il guardiano della pace mondiale dopo la Grande Guerra non iniziarono sotto i migliori auspici: il più entusiasta promotore della Società delle Nazioni, lo stesso presidente Wilson, non riuscì a convincere la nutrita schiera di isolazionisti in seno al Congresso americano ad aderire. Gli Stati Uniti non ratificarono mai il trattato di Versailles e la Società delle Nazioni nacque “zoppa”, accolta da pochi amici e molti scettici.

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Con sede a Ginevra, si componeva di un’Assemblea degli Stati membri (quarantaquattro, dei quali trentuno avevano partecipato al conflitto), di un Consiglio, l’organo politico più in evidenza, di un Segretariato permanente e di una Corte permanente di Giustizia internazionale.

I membri permanenti del Consiglio variarono di frequente a causa delle tormentate vicende del ventennio tra le due guerre. Agli originari quattro membri (Francia, Gran Bretagna, Giappone, Italia) si aggiunse nel 1926 la Germania, che si ritirò nel 1933 insieme al Giappone. L’Italia uscì nel 1937 dopo le sanzioni imposte per la guerra in Etiopia. L’URSS, ammessa nel 1934, fu espulsa nel 1939 dopo l’invasione della Finlandia e delle Repubbliche baltiche.

Gli scopi fondamentali dell’organizzazione erano il controllo globale degli armamenti, la prevenzione delle guerre e la gestione diplomatica dei possibili conflitti fra Stati. Gli Stati aderenti si impegnavano a rispettare l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli altri membri e a non ricorrere alla guerra, prevedendo sanzioni economiche contro chi trasgredisse le regole.

Il 18 novembre 1935 la società delle Nazioni deliberò le sanzioni contro l’Italia, colpevole di avere invaso l’Etiopia: niente più armi, niente crediti nè materie prime, divieto d’importare merci italiane. Ma la rete delle sanzioni era poco efficace: Germania e Stati Uniti, che non facevano parte della Società delle Nazioni, non aderirono e altri Paesi non l’applicarono in maniera rigorosa.

I fini di stabilizzazione internazionale e di pace della Società delle Nazioni fallirono in altre occasioni: il conflitto cino-giapponese (1931), l’occupazione nazista alla Cecoslovacchia (1938) e l’espansione tedesca all’origine della Seconda guerra mondiale (1938-1939).

Ma perché la Società delle Nazioni fallì? Pesò  sicuramente il processo decisionale, che richiedeva l’unanimità, difficile da raggiungere. L’organizzazione fu inoltre indebolita alla nascita dalla già citata mancata adesione degli Stati Uniti e da quella tardiva e solo temporanea di Germania, Giappone e Unione Sovietica. Mancava di proprie forze armate per intervenire concretamente: sarebbe spettato alle grandi potenze il compito d’imporre risoluzioni politiche e sanzioni, fornendo anche un esercito se necessario. Le politiche di embargo non furono soltanto inefficaci, ma controproducenti. Sulla scia delle sanzioni, Mussolini proclamò l’autarchia, sollecitando una fiera presa di coscienza nazionale. E gli italiani cominciarono a sostituire il il tè con il carcadè, il caffè con la cicoria, il carbone con la lignite, la lana con il lanital.

Alla fine della Seconda guerra mondiale a Yalta Stalin, ferocemente contrario alla rinascita di una Società che si era permessa di espellere l’Unione Sovietica, negoziò con Roosevelt e Churchill la creazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Società delle Nazioni fu dissolta nel corso di un’ultima riunione a Ginevra, il 12 aprile 1946. Ma com’era stata la Società delle Nazioni, vista da dentro?

Ha provato a raccontarcela Albert Cohen in un romanzo d’amore e d’avventura uscito poco più di cinquant’anni fa, ‘Bella del Signore’ (BUR, Collana La Scala). Parallelamente al trionfo e crollo della storia d’amore tra Ariane (giovane, bella, nobile, sposata e annoiatissima) e Solal (torbido, carismatico, intelligente, altissimo dirigente della Società delle Nazioni), Cohen racconta nei dettagli gli ingranaggi del funzionamento quotidiano della macchina amministrativa dell’organizzazione, un modello al quale si sono ispirate l’ONU e le istituzioni europee. Attraverso le ottocento pagine del libro, lo spaccato che emerge della Società delle Nazioni ricorda un dinosauro maldestro, prossimo all’estinzione, che si autoalimenta di burocrazia e intrighi per sopravvivere. Cohen demolisce l’alta società ginevrina benpensante, ipocrita e spietata; e, all’interno di questa, l’inutilissima Società delle Nazioni.

‘Bella del Signore’ è un mattone che consiglio di rispolverare: fa riflettere.

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