Da qualche settimana sono iniziati gli sgombri dei campi per i rifugiati in Grecia, da tempo fin troppo affollati. Il primo in termini di numero di persone e importanza, “Moira” sull’isola di Lesbo; qui, a fronte di una accoglienza massima di poco più di 3000 persone, al momento ne ha ospitate 9000 (fonte Medici Senza Frontiere), donne e bambini inclusi ed in percentuali non trascurabili. Stessa situazione di sovraffollamento si registrano nel campo di Samo, dove rispetto ad un massimo di 650 persone ve ne sono state ospitate 3600. Condizione igieniche scarse o per meglio dire inesistenti, trattasi di campi d’accoglienza lager, dove le persone entrate non hanno più avuto la possibilità di muoversi e cercare il loro posto nel mondo, obbligati ad una esistenza in stand by.
Gli sgombri parziali di questi “centri di detenzione involontari”, sono iniziati il 21 settembre con destinazione Filippide in Epiro, dove presto si raggiungerà la capienza massima di 2000 profughi. È evidente fin da subito che il surplus di rifugiati dei due campi sia nettamente superiore alla soluzione proposta.
Il ministro greco Dimitris Vitsas dichiara l’importanza di decongestionare queste aree, considerando infattibile una redistribuzione in Europa, senza una previa redistribuzione interna al proprio paese. Sostiene inoltre, che il sistema è in corto circuito poiché i consistenti e continui arrivi, non favoriscono il tentativo di integrazione dei migranti nel lavoro e nella società europea.
Situazione insostenibile come testimonia Nawal Soufi attivista per i diritti umani “Gli sbarchi sono continui, quasi ogni giorno arrivano tanti bambini e donne, molte incinte. Sono soprattutto siriani, ma anche afgani e iracheni: ci sono gruppi di africani che sono qui a Lesbo dal 2016 […] Quando le autorità si decidono a far partire 500/600 migranti, nell’arco di una settimana sono già stati rimpiazzati da altri arrivati via mare”. All’interno dei centri di accoglienza ci sono molti casi di permanenza che superano i 3 anni. Lucio Melandri coordinatore Unicef del progetto per la risposta alla crisi rifugiati e migranti in Grecia dichiara che “mentre il numero di minorenni rifugiati e migranti che arrivano sulle isole della Grecia continua ad aumentare, le condizioni presso i centri che li ospitano diventano sempre più pericolose”. Secondo dati dell’Alto commissario per i rifugiati(UNHCR), dalla Siria più di 2 milioni di civili sarebbero pronti a partire verso il confine turco a causa de “l’operazione finale” del governo di Damasco; anche quest’anno si sono imbarcati 82.543 migranti di cui il 32% sono siriani e ben 12.039 persone sono state accolte a Lesbo nonostante il sovraffollamento e la mancanza di servizi base.
A fronte di una spesa di 6 miliardi di euro, gli accordi con l’Unione Europea prevedono l’espulsione in Turchia di tutti i migranti entrati irregolarmente in Grecia, per ogni rimpatrio dovrebbe essere accolto un rifugiato attraverso i canali umanitari ma non ci sono ancora dati attendibili per constatare l’avvenuta integrazione in Europa degli aventi diritto. Le pratiche sono tante, smaltirle in breve tempo risulta essere una impresa impossibile e la detenzione amministrativa sembra essere l’unica soluzione insieme a dei rimpatri coatti.
Insomma, la situazione è drammatica e disastrosa il rischio anche per la gente del luogo è alta e tra MSF e UNHCR si fa il possibile per mantenere sotto controllo la situazione. Ad esempio, Medici Senza Frontiere ha dovuto allestire per il campo di Moira, un ambulatorio esterno per sostenere almeno i controlli ginecologici e distribuzione di profilattici per la prevenzione delle infezioni da HIV. Questo è stato dovuto al fatto che l’ospedale greco locale non si occupa degli ospiti dei campi di accoglienza.
Intanto in Italia Mauro Palma, garante dei diritti delle persone detenute o private della loro libertà personale, sottolinea la criticità della gestione del sistema hotspot rispetto alla violazione dei diritti: “Rispetto dei diritti fondamentali? Solo una dichiarazione di principio”. Inoltre Palma sottolinea come la loro detenzione debba scostarsi dal comune concetto di carcere in quanto bisogna considerare che queste strutture sono destinare a persone che non hanno nulla da espiare, non avendo commesso reati, ma sono “affette” dallo status di irregolarità, che ad oggi sembra sia una cosa di mezzo tra un reato e una brutta malattia contagiosa.
Se non si vuole considerare la cosa da un punto di vista umano o funzionale, ricordiamo che l’Italia è stata già condannata per violazione già nel 2016 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per aver trattenuto nel centro di Lampedusa tre cittadini tunisini per un periodo prolungato appena arrivati in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso.
Di quante altre condanne di carattere legislativo o umano, ha bisogno l’Europa affinché si possa cambiare rotta?