
Italia, Regno Unito, Stati Uniti, nazioni che non hanno molte similitudini fra loro, ma una di queste è senza dubbio il fatto di essere paesi democratici. Alcuni da secoli, altri, come l’Italia, da decenni. Alcuni adottano un sistema presidenziale, altri uno parlamentare.
Siamo così abituati all’idea che l’ordinamento democratico sia un fatto assodato nel nostro mondo occidentale che spesso perdiamo di vista una caratteristica importante della democrazia: essa è un essere vivente. Come un essere vivente ha bisogno di continuo nutrimento e sviluppo, pena il suo intorpidimento, e come per gli esseri viventi è possibile distinguere fra uno in salute ed uno malato. Nata nell’antica Grecia, si basa su di un’idea apparentemente semplice: tutti i cittadini hanno il diritto di prendere decisioni riguardo la cosa pubblica. Questo fa sorgere un’altra domanda: come prendono decisioni i cittadini?
E’ proprio questo punto che nell’analisi odierna dei sistemi democratici ha assunto un ruolo preponderante. Sempre più spesso ci accorgiamo che ampie fette di popolazione sono vittime di false propagande e cosa ancor più pericolosa non sono in grado di rendersene conto. Nel 2018, infatti, ci troviamo ad affrontare delle problematiche insite nel concetto di democrazia ma che nessuno si sarebbe aspettato di riscontrare in un epoca in cui la libera informazione ha una portata globale.
Tutti siamo venuti a conoscenza del Russiagate, espressione delle nuove armi a disposizione, quelle informatiche. Purtroppo il Russiagate è solo la più eclatante di una ampia serie di operazioni che hanno in comune un solo scopo: influenzare l’opinione pubblica. Il vettore prescelto non possono che essere i social network, media che negli ultimi 5 anni si sono trasformati da servizi di messaggistica per adolescenti ad una vera e propria copia della società reale. Se infatti inizialmente l’età media degli iscritti ai social era poco più che 18 anni, essi hanno attirato l’attenzione dapprima dei genitori di quegli adolescenti per poi arrivare fino ai nonni degli iscritti originali. In seguito a questa espansione della platea d’utilizzo e dei target presenti su di esso hanno cominciato a nascere contenuti di tipo politico (i teenager non possono votare) ed in seguito, quando la viralità della comunicazione social è stata sperimentata, si è cominciato a sfruttare tali meccanismi a proprio vantaggio.
E’ qui che entrano in campo le cosiddette “bufale” ed i loro creatori, i “troll”, quasi sempre professionisti che lavorano in squadra, ricevono istruzioni e linee guida su come massimizzare la propria visibilità e la propria efficacia. Questi non agiscono su base personale ma fanno capo ad agenzie specializzate in questo tipo di web marketing in grado di organizzare, con la giusta quantità di denaro, imponenti campagne di disinformazione via web.
Analizzando il loro modus operandi, si può subito capire il target a cui puntano maggiormente i nuovi iscritti. Se infatti i millenials hanno smesso di iscriversi a Facebook ripiegando su altri social, le uniche nuove iscrizioni sono da parte di persone appartenenti alla fascia d’età 50-70 anni. Proprio loro rappresentano le prede perfette della nuova propaganda. Infatti, essi sono gli utenti meno esperti in fatto di tecnologia, spesso hanno chiesto aiuto ad un membro più giovane della loro famiglia per aprire il proprio profilo e quando vi sono dentro lo usano con ingenuità, come fossero bambini in un mondo a loro sconosciuto. Essi considerano il web come un’ estensione dei media tradizionali a cui sono stati abituati per tutta la vita, non si pongono nemmeno il problema di verificare quel che leggono online, attribuiscono ai contenuti social la stessa veridicità di un tg. E’ per questo che gruppi come “PENSIONI ULTIME NEWS” e “Nati negli anni ’50”, gruppi con migliaia di membri, sono diventati il mare più pescoso per i diffusori di disinformazione.
Lungi dall’essere un fenomeno esclusivamente italiano, ne abbiamo osservato gli effetti sia negli USA che nella campagna a favore della Brexit, infatti queste operazioni di propaganda sono quasi sempre a favore dei movimenti populisti e sovranisti, in Italia come all’estero. Viene da chiedersi da dove arrivino quindi le risorse per mettere in piedi queste campagne.
In questi anni abbiamo assistito alla nascita e all’esplosione di nuovi mezzi di comunicazione sui quali una fetta sempre più ampia di popolazione basa le proprie decisioni, salvo poi accorgerci che questo sistema è malato, quel che doveva essere una conquista si è rivelata l’arma più potente contro gli stessi utilizzatori che ne dovevano beneficiare. Un sistema come quello democratico che si basa sui sentimenti di massa sta entrando in crisi perché la possibilità stessa di decidere è messa a rischio da un inquinamento continuo dei luoghi preposti all’informazione. La cura? Per ora non è pervenuta.