Da sempre, la posizione geografica dell’Italia ne ha condizionato il ruolo in politica estera. Essendo una lunga penisola immersa nel mezzo del Mediterraneo, il destino dell’Italia è indissolubilmente legato alle vicende del mare che la circonda.
Al tempo dell’Antica Roma, il Mediterraneo era il Mare Nostrum. Roma costruì la sua potenza imperiale conquistando l’egemonia marittima nel Mediterraneo. Ogni singolo metro di costa che si affacciava su questo mare, dalla penisola iberica a quella balcanica, dall’Anatolia a tutto il Nord Africa, era sotto il controllo di Roma. Il Mediterraneo fu il cuore di uno degli imperi più grandi ed influenti della storia il cui lascito ai posteri è incalcolabile ma tangibile ancora oggi.
Successivamente, la sua posizione geografica permise all’Italia di fare da ponte tra l’Oriente e l’Europa continentale. Le repubbliche marinare costruirono la loro prosperità economica sui commerci con l’Oriente, che portarono in Europa numerose merci introvabili e sconosciute.
Ma la scoperta dell’America nel 1492 (per opera di un genovese oltretutto) mise in secondo piano il Mediterraneo e quindi l’Italia, complici anche le guerre che nella prima metà del XVI secolo fecero perdere l’indipendenza agli stati della penisola. Indipendenza riacquisita più di tre secoli dopo, nel 1861.
Oggi, un irruento ritorno della storia ha riportato il Mediterraneo al centro dell’attenzione e le vicende che si sviluppano attorno ad esso stanno influenzando notevolmente l’Unione Europea e quindi anche l’Italia.
Il caos regna attorno al Mediterraneo e l’Italia vi sta in mezzo.
La prima e più palese manifestazione di questo caos è la questione migratoria che ha reso il Mediterraneo un cimitero. Benché quella degli ultimi mesi sia più una crisi politica piuttosto che migratoria, ciò non toglie la drammaticità del fenomeno, per cui migliaia di persone sono morte tentando di attraversare il mare che separa l’Europa dall’Africa, e il cui primo approdo è proprio l’Italia.
Il fenomeno delle migrazioni si nutre del caos che domina la Libia. Questi due elementi sono fortemente connessi tra loro. Non ci sarebbero così tante partenze e quindi così tanti morti se nella nostra ex colonia non regnasse l’anarchia. Attualmente in Libia esistono due governi: quello debole, seppur riconosciuto dalla comunità internazionale, del presidente Fayez Al-Sarraj con capitale Tripoli, e quello forte ma non riconosciuto dalla comunità internazionale del generale Khalifa Haftar, con capitale Tobruk. La Libia intesa come stato unitario per come l’abbiamo conosciuta dal dopoguerra alla fine dell’era Gheddafi pare non esistere più. Ci saranno la Tripolitania e la Cirenaica, oppure Farraj verrà fagocitato da Haftar.
A est della Libia vi sono i campi di battaglia perenni del Medio Oriente. Inutile stare ad elencare gli innumerevoli conflitti, guerre e proxy wars che sono in corso in quelle sventurate terre. È utile però ricordare come i drammatici eventi in corso in quella regione abbiano avuto profonde ripercussioni sull’Unione Europea. Nel 2015 le popolazioni di Siria, Iraq e Afghanistan fuggirono dalle guerre e raggiunsero il cuore dell’Europa (= Germania) attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Un mastodontica migrazione terrestre che è stata stoppata solo grazie al lauto compenso che l’Unione Europea versa alla Turchia per tenersi migliaia e migliaia di rifugiati che altrimenti si dirigerebbero in Europa.
Proprio la Turchia è un altro vettore del caos che regna attorno al Mediterraneo. La svolta autoritaria intrapresa dal presidente Erdogan, attuata attraverso un accentramento del potere nelle sue mani e l’eliminazione delle voci dell’opposizione, sta facendo tornare il paese indietro di decenni. Allo stesso tempo la Turchia sta giocando un ruolo sempre più importante in politica estera, specialmente nello scacchiere mediorientale, mantenendo una certa ambiguità abbastanza preoccupante, a cavallo tra Nato e Russia.
Ma il caos ha colpito direttamente anche il territorio dell’Unione Europea. La crisi catalana, la cui controversia è deflagrata chiassosamente lo scorso autunno, ha messo in seria discussione l’unità della Spagna e l’impianto costituzionale post-franchista. La questione dell’indipendenza catalana segue la stessa onda del referendum sull’indipendenza scozzese del 2014 caratterizzata dal desiderio di emancipazione delle regioni “virtuose” al tempo della globalizzazione. Ma non solo. Si è tentato soprattutto di dare l’indipendenza a una nazione. Ciò ha aperto un intricato dibattito attorno al principio di autodeterminazione dei popoli e la vicenda è lungi dall’essere risolta.
Nel mezzo di tutto questo si trova l’Italia. Come può rapportarsi il nostro paese al caos che lo circonda?
I dossier tra quelli elencati in cui l’Italia potrebbe e dovrebbe ricoprire un ruolo di guida sono quelli della questione migratoria e della Libia. In primo luogo, perché l’Italia è il paese maggiormente colpito dai flussi migratori provenienti dal Mediterraneo centrale, e quindi risente maggiormente dell’instabilità del paese nordafricano. L’Italia dovrebbe favorire e rendersi protagonista di un processo di dialogo tra i due governi libici, in modo da assicurare la stabilità del paese. Ciò finora è stato fatto, peraltro con risultati poco confortanti, dal presidente francese Emmanuel Macron. Se l’Italia non è nemmeno in grado di stabilire e perseguire una strategia d’azione di politica estera nelle sue immediate vicinanze geografiche allora ha perso ogni briciolo di credibilità ed autorevolezza sul piano internazionale, a maggior ragione se si tratta di una questione molto sentita dall’opinione pubblica.
Chiudere i porti è un tampone provvisorio. Per risolvere davvero il problema c’è da fare molto di più.