
L’accordo tra la destra sovranista ed i “nuovi comunisti” del M5S, nei confronti dei quali esprimono simpatia e vicinanza settori del PD, Camusso, Landini e LEU, è l’indicatore delle grandi difficoltà nelle quali si muove il riformismo italiano.
Nella prima repubblica il centro moderato, anche per la sua capacità di far coesistere la componente cattolica, fortemente maggioritaria, con i partiti laici ed il socialismo democratico, ha consentito al Paese di crescere, svilupparsi e resistere alle pulsioni rivoluzionarie dei brigatisti, sino al drammatico epilogo di mani pulite, che ne ha decretato la fine.
Nella seconda, nata dopo la caduta del muro di Berlino e la sdrammatizzazione del confronto tra NATO e Patto di Varsavia, i settori più conservatori del centro hanno fatto fronte comune con la destra, mentre quelli più progressisti si sono alleati con i
postcomunisti, dando vita a due poli, che si sono regolarmente alternati al governo nell’arco di un ventennio.
Questi assetti, che apparivano immutabili, sono stati rimessi in discussione dall’irruzione, ad inizio della passata legislatura, di un movimento dichiaratamente antisistema che, facendo leva sul disagio di larghi strati della popolazione, stremati da una durissima crisi economica e sulla evidente insofferenza per un’immigrazione fuori controllo, hanno svuotato i tradizionali pozzi da cui attingeva il consenso il PD e ne hanno fatto esplodere le contraddizioni.
Il declino del maggior partito della sinistra, agitato da una guerra intestina, senza quartiere, tra una componente liberal-democratica, guidata da Renzi, e protesa verso
una ridefinizione dell’identità, ed un’altra marcatamente legata ai valori propugnati dal PCI, in tutti i suoi travestimenti, ed al sindacato rosso, apre a nuovi, imprevedibili sviluppi.
Qual è il senso dell’inedita alleanza tra opposti, già definita accozzaglia ai tempi del referendum?
Perché forze politiche che dovrebbero collidere si uniscono in un’esperienza di governo fondata su di un contratto che indica obiettivi contraddittori, come il reddito di cittadinanza a favore dei poveri e la flat tax a beneficio dei ricchi?
Già il primo decreto, correttivo del Jobs Act, ha generato vibrate proteste da parte delle piccole e medie imprese, che rappresentano la base elettorale della Lega, unitamente al plauso di Cgil, LEU e sinistra PD, cosa accadrà più avanti?
L’idea è che il ceto medio, da sempre asse portante del Paese, stia precipitando nell’irrilevanza, unitamente a quanto resta di culturalmente valido e professionalmente elevato.
Stessa sorte toccherà al riformismo ed al sogno di comporre gli scontri sociali attraverso la fatica della modernizzazione, premiando il merito, le capacità personali e lo spirito di sacrificio, bilanciando l’espansione dei diritti con l’osservanza dei doveri e la riaffermazione del principio di responsabilità.