
Chi era Berta
Berta Isabel Cáceres Flores è stata un’attivista honduregna per i diritti delle popolazioni indigene che abitano lo stato dell’America Centrale. Fin da quando era studente, si è infatti sempre battuta per difendere le popolazioni Lenca (che si trovano tra Honduras e El Salvador), più volte minacciate sia dal governo che dalle multinazionali interessate a costruire nella zona. A questo proposito, nel 1993 ha fondato l’organizzazione COPINH (consiglio civico di organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras), che unisce alla lotta indigena anche quella per la salvaguardia dell’ambiente nel paese. Dopo il coup d’etat avvenuto nel 2009, in Honduras è infatti aumentato esponenzialmente il numero di opere a forte impatto ambientale. E’ proprio da qui che è partita la campagna di Berta, che si era opposta con successo alla costruzione di una serie di dighe idroelettriche sul fiume Gualcarque (Agua Zarca), considerato sacro per i Lenca. Dietro al progetto c’era la famosa multinazionale cinese costruttrice di dighe “Sinohydro Corporation” la quale, in collaborazione con la Banca Mondiale, il governo e alcune compagnie private honduregne, aveva totalmente bypassato molti dei passaggi legislativi e burocratici necessari per intraprendere questo tipo di azione. Tra i tanti, ricordiamo alcuni punti fondamentali del diritto internazionale, che specificano chiaramente la necessità di consultare e trovare accordi con le comunità indigene che abitano i terreni minacciati dal progetto.
Grazie al grande carisma di Berta, COPINH era diventato un punto di riferimento per molte popolazioni indigene e non, in tutta l’America Latina. Contemporaneamente però, come spesso accade in questi casi, iniziava a essere vista come una minaccia dal governo. Paradossalmente, a seguito delle numerose minacce di morte ricevute, Berta era stata inserita al primo posto nella lista di persone in pericolo di vita dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Essa aveva infatti chiesto all’Honduras di prendere le dovute precauzioni per proteggere lei e altri attivisti nel paese.
L’Omicidio
La notte del 2 marzo 2016, Gustavo Castro Soto, attivista ambientale messicano e ospite della Cáceres in quei giorni, sentì urlare e degli spari provenire dal secondo piano della casa. Gli assassini spararono anche a lui, che fortunatamente riuscì – per sua stessa ammissione – miracolosamente a sopravvivere.
Il fatto scatenò immediatamente grandi proteste in Honduras, e i familiari di Berta, consapevoli del coinvolgimento del governo, pretesero indagini approfondite da parte di istituzioni internazionali. Come era facilmente preventivabile, vi furono parecchi tentativi di depistaggio; la polizia arrestò inizialmente un attivista membro di COPINH, salvo rilasciarlo il giorno seguente per mancanza di prove.
La notte dell’omicidio, contrariamente alle disposizioni lasciate dalla Commissione Interamericana, non c’era nessuna guardia in sua difesa.
Ad oggi, sono stati identificati 8 uomini come responsabili dell’azione. Nonostante il governo abbia sempre ribadito il “massimo impegno” nello svolgimento delle indagini, è fin troppo chiaro come questo conflitto di interessi privilegi le lobby internazionali, a discapito delle popolazioni indigene e degli attivisti. La chiusura delle indagini lascia infatti l’amaro in bocca, poiché come spesso accade non si è arrivati ai mandanti.
L’eredità di Berta Cáceres
Sin dalle prime settimane successive alla morte di Berta, sua figlia Berta Isabel Zuniga Cáceres ha subito mostrato la volontà di seguire le orme della madre. Oggi è una figura di spicco tra le popolazioni Lenca ed è tuttora alla guida di COPINH, impegnandosi e sostenendo appieno gli ideali espressi dalla Cáceres.
Il caso di Berta aveva subito ottenuto risonanza mondiale vista la popolarità ottenuta dall’attivista dopo la vittoria del famoso premio “Goldman environmental prize” nel 2015, assegnato ogni anno a chi si contraddistingue nella difesa dell’ambiente (viene premiato un rappresentante per ogni continente). E’ importante però sottolineare come il trend, in America Latina e America Centrale, non sia cambiato nemmeno in questo inizio di 2018: sono infatti circa 125 gli attivisti – ambientalisti uccisi. Ciò a riprova di una totale assenza di protezione sia da parte dei governi nazionali (e sopra ho già provato a ipotizzarne le ragioni), ma anche e soprattutto da parte di organizzazioni umanitarie internazionali.
Nel giorno del secondo anniversario, si registrano numerose e talvolta anche violente proteste in tutto l’Honduras, ma soprattutto nella capitale Tegucigalpa. Inoltre, molte associazioni umanitarie hanno rilasciato importanti dichiarazioni di solidarietà alla comunità Lenca, su tutte Amnesty International.