
Ormai ci siamo. Il conto alla rovescia sta per terminare: il fatidico 4 marzo è alle porte. Tra pochissimi giorni milioni di italiani recandosi alle urne per esprimere il proprio voto daranno forma al Parlamento della prossima legislatura.
È stata una campagna elettorale da dimenticare in ogni aspetto, la peggiore dei settant’anni di storia repubblicana, priva innanzitutto di contenuti programmatici da parte dei partiti, priva inspiegabilmente di un confronto diretto tra i candidati delle maggiori forze politiche. Una campagna caratterizzata da un dibattito politico dove i leader dei partiti, invece che fare proposte concrete, hanno preferito fare i bisticci tra loro, come bambini all’asilo, puntando unicamente a screditare e delegittimare l’avversario, portando inevitabilmente l’asticella della qualità del confronto a un livello basso come mai prima d’ora.
Il direttore di questa inascoltabile orchestra è il Rosatellum, la legge elettorale approvata all’ultimo momento della legislatura che definisce le regole del voto e l’assegnazione dei seggi. Il Rosatellum somma tutti i difetti e le controversie della classe dirigente italiana. Non c’è bisogno di essere politologi per capire che il Rosatellum è un obbrobrio figlio di un accordo dell’ultimo minuto. Nessun studioso, giornalista o esperto ha pronunciato un commento favorevole di questa legge, persino i parlamentari che l’hanno approvata hanno dichiarato che “non è la miglior legge elettorale”, un modo gentile per dire che è una schifezza. Il ritorno al proporzionale, la mancanza delle preferenze, l’incentivo alle “ammucchiate” sono soltanto alcuni degli elementi che mostrano la cattiva qualità di una legge che ha fatto da preludio all’ignobile spettacolo della campagna. Consci del fatto che con queste regole non vincerà nessuno, i partiti si sono rassegnati e hanno abdicato al loro dovere di proporre programmi e di battersi in un sano confronto.
Il Rosatellum è talmente triste che già adesso, ancora prima delle elezioni, si specula sulla formazione di un “governo di scopo” il cui obiettivo sarà unicamente quello di approvare una legge elettorale che possa produrre un chiaro vincitore e un chiaro assetto parlamentare, per poi tornare nuovamente alle urne.
Una legge elettorale nata male e che funzionerà anche peggio. L’approvazione, avvenuta a suon di fiducia, ha tagliato le gambe alla discussione parlamentare, il tassello fondamentale di un sano percorso legislativo e democratico, ma è ovvio che quando le cose vengono fatte all’ultimo minuto con l’imperativo di arrivare a un risultato, il lavoro viene svolto in fretta, in barba ai “dettagli” e alla qualità del progetto.
A prescindere dalle votazioni di fiducia di cui si è abusato, il modus operandi che ha portato all’approvazione del Rosatellum è lo specchio della classe dirigente italiana. Affronta all’ultimo momento questioni di primaria importanza e lavorando in fretta e furia crea un inguardabile pastrocchio. Ma soprattutto legifera non con l’obiettivo di fare la miglior legge possibile, ma con quello di creare i presupposti affinché gli interessi della maggioranza che l’ha approvata vengano salvaguardati. Perché mai fare una buona legge elettorale che consegni un chiaro vincitore se poi rischio di perdere la poltrona o di venir estromesso dal giro di consultazioni ? Molto meglio fare una schifezza buona solo per soddisfare i miei interessi e nient’altro, anche perché alla fine, a me, importa solo questo.
Dunque, l’intenzione di questa riflessione non è certo quella di giungere ad affrettate generalizzazioni, ma è fuor di dubbio che non di rado la classe dirigente italiana approva leggi con ritardo e in modo confusionale, non riuscendo a fare chiarezza sui temi affrontati perché approvate per fare solo gli interessi di pochi. Una classe politica che non conosce il significato della parola efficienza, ma che ha mille modi per dire tornaconto personale.