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Strage di Via d’Amelio: il bersaglio era solo il giudice?

| 27 Agosto 2017 | ATTUALITÀ

Sulla strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992 nel quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, Emanuela Loi, Eddi Walter Cosina, Vincenzo Limuli, Agostino Catalano e Claudio Traina, si è scritto parecchio anche perché, come spesso capita, i misteri di Stato perennemente irrisolti, lasciano un amaro in bocca a tutte quelle persone oneste e dedite alla giustizia che non vogliono accettare un punto interrogativo come finale delle morti innocenti senza giustizia.

La domenica del 19 luglio 1992, come è noto, il giudice trascorre la giornata a Villagrazia di Carini. Nel pomeriggio, Borsellino, ha un appuntamento con la madre; deve accompagnarla ad una visita medica. Alle ore 16.58 di quella domenica caldissima palermitana, un boato avvertito in tutta la città uccide il giudice e la sua scorta. Lo scenario è da guerra. Il corpo carbonizzato di Borsellino viene rinvenuto tra l’inferriata e il giardino dell’appartamento al primo piano di via d’Amelio n. 19. Il suo braccio destro è tranciato di netto. A 25 anni di distanza, dopo le dure parole pronunciate dalla figlia Fiammetta in occasione della commemorazione della strage, la verità è ancora lontana; nonostante i numerosi processi e altrettanti numerosi depistaggi con interventi di personaggi dello Stato al limite della legalità e pentiti costruiti ad hoc.

Il mistero più grande riguarda l’agenda rossa del giudice Borsellino. I familiari dicono di aver visto riporre nella borsa ma, al momento dell’apertura della stessa da parte delle forze dell’ordine, è svanita nel nulla. Su quell’agenda, il giudice, appuntava meticolosamente tutti i suoi pensieri, tesi, ipotesi e nomi riguardanti le sue indagini. Diversa dall’agenda grigia, dove appuntava i suoi appuntamenti quotidiani. Per anni si sono succedute ipotesi riguardanti il telecomando che ha azionato l’ordigno, composto da Pentitre T4, generalmente, in dotazione all’esercito italiano ma, nel 2014, da una intercettazione avvenuta nel carcere di Opera, Toto’ Riina durante l’ora d’aria, parlando con il detenuto Lorusso, ha dichiarate che Borsellino stesso ha azionato il telecomando. Il congegno era occultato nel citofono.

Alcuni dubbi su quella giornata, non sono mai statii approfonditi.

IL COSTUME BAGNATO

Il giudice Borsellino era una persona estremamente meticolosa e precisa. Era solito alzarsi prima dell’alba diceva: “per rubare ore al giorno”. La sua giornata, era programmata al minuto ed era una persona che amava la puntualità. Sapendo di recarsi in via d’Amelio a prelevare la madre, per accompagnarla ad una visita medica, si sarebbe preparato per tempo; invece il costume da mare bagnato indica che sia partito all’ultimo momento da Villagrazia di Carini. Questo dettaglio risulta strano per il carattere meticoloso del giudice. Precisamente si sarebbe preparato per tempo ed il costume sarebbe stato asciutto.

LE CHIAVI DI CASA DELLA MADRE

Possibile che il giudice non possedesse le chiavi del portone di ingresso della casa materna ed abbia suonato il citofono? Altro particolare che sembra alquanto strano.

L’AGENDA ROSSA

Un uomo che sa di essere nel mirino dopo la morte dell’amico e collega Giovanni Falcone, porta sempre con sé una agenda nella quale trascriveva fatti e nomi che sarebbe potuta cadere nelle mani sbagliate? Nessuno mai ha avanzato l’ipotesi che l’agenda inserita nella borsa fosse uno specchietto per le allodole e la vera agenda rossa del giudice sia altrove?

IL CITOFONO

Il giudice Borsellino si precipita a premere il citofono, non utilizza le chiavi e, su questo particolare, mai nessuno ha dato spiegazioni. La precisione di un uomo simile può far pensare che sia impossibile che abbia agito impulsivamente…a meno che non fosse solo lui la persona da colpire in via d’Amelio ma qualcun’altro soggetto a lui vicino e caro. Ma chi?Cosa Nostra e quei pezzi deviati dello Stato che non sono mancati durante la preparazione e l’esecuzione della strage, quando vuole colpire, a volte, colpisce gli affetti più cari per lanciare un messaggio chiaro al diretto interessato. Può essere che Cosa Nostra volesse colpire qualcuno vicino al giudice Borsellino per fargli arrivare un messaggio chiaro visto che si era messo di mezzo nella fase della trattativa e non voleva scendere a compromessi? Possibile che il giudice ave a intuito, o saputo, questa eventualità all’ultimo momento ed è partito di corsa?

A questo punto sarebbe giustificabile la partenza all’ultimo momento con il costume ancora bagnato in borsa, suonare il citofono senza utilizzare le chiavi, proprio per evitare che soggetti terzi non premessero il citofono al posto suo. La magistratura che nel corso di questi anni ha portato avanti inchieste e processi, ha mai valutato queste eventualità in virtù del fatto che gli inquirenti conoscevano bene la meticolosità di Paolo Borsellino? Pezzi mancanti di una strage voluta dallo Stato che ha armato Cosa Nostra, mai si è posto l’accento ma chi ha osato ha ricevuto come risposta: “tesi fantasiose”. Più fantasiose delle tesi dei falsi pentiti cosa ci può essere?

 

 

 

 

 

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