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Contr’Appunti – Il razzismo dei buoni

| 9 Agosto 2017 | ATTUALITÀ

Ieri è stata una brutta giornata per le Istituzioni del nostro Paese. Al centro, non per colpa loro, come al solito gli immigrati, che in questa estate torrida funzionano da cartina di tornasole dei peggiori pregiudizi della nostra classe dirigente.

Ha iniziato Laura Boldrini, che in un tweet ben oltre la decenza ha paragonato la tragedia di Marcinelle alle traversate in gommone dei giorni nostri ed i migranti odierni (accatastati di qua e di là a non fare nulla, in un Paese col 40% di disoccupazione giovanile) ai martiri del lavoro di sessanta anni fa (ospitati in baracche antigieniche, costretti a lavorare in condizioni disastrose, oggetto di uno scambio minatore-carbone addirittura formalizzato nel noto Protocollo degasperiano).

Quindi, è intervenuto Giorgio Gori, cioè la personificazione di quel groviglio che ha avuto nel “Patto del Nazareno” il suo punto più alto (o, se si preferisce, più basso) il quale – sempre via Twitter (non è chiaro perché questi politici non paghino un social media manager appena decente) – ha mostrato alcuni migranti intenti a manutenere, con lavoro volontario, cioè gratuito, le panchine di Bergamo. “È una forma di restituzione… e di educazione dei giovanni immigrati che non toglie lavoro a nessuno”, ha chiosato.

Gori, probabilmente senza neppure rendersene conto, con questo discorso mostra due terrificanti pregiudizi.

Il primo, che dietro il buonismo delle anime belle che costruiscono ponti e non muri si cela una forma di sostanziale razzismo, secondo cui – a fronte dell’accoglienza prestata – vi sarebbe il diritto a reclamare lavoro gratuito o malamente pagato nei confronti dei migranti. A favore dello Stato, o – più o meno mediatamente – dei corpi sociali che di quel lavoro maggiormente si avvantaggiano. Si tratta della “versione pubblica” della raccolta di pomodori che tanto a cuore stava ad Alessandro Gassmann, di una specie di “schiavitù di Stato” simile a quella degli antichi popoli mediterranei. Tanto che c’è stato chi, sui social, ha ironizzato, dicendo che – in fin dei conti – il sistema escogitato da Gori funziona così bene che c’è stato chi, addirittura, ci ha costruito le piramidi.

E qui non si tratta di costruire quello che Marx definiva un “esercito industriale di riserva”. Tale e tanta è la disoccupazione in Italia e in Europa che proprio non c’è bisogno di importarla. Qui si tratta dell’idea di fondo che certi lavori, pregiudizialmente ritenuti squalificanti, debbano essere svolti da persone considerate – inutile girarci tanto interno – culturalmente (se non etnicamente o addirittura razzialmente) inferiori. D’altronde c’è poco da attendersi da chi ha rimesso le corvée per debiti (pudicamente definite “baratto amministrativo”).

Il secondo, che la manutenzione della cosa pubblica o è fatta gratuitamente, o semplicemente resta inevasa (in questo senso l’attività dei migranti “non toglie lavoro a nessuno”). Perché – si capisce – per assumere stradini, giardinieri, vigili del fuoco, operatori ecologici ecc. non ci sono i soldi. Gori dimostra la più completa introiezione del “mito della scarsità”, cioè dell’idea – i cui principali teorici accademici italiani sono Oscar Giannino e Luigi Marattin – che uno Stato debba avere gli stessi vincoli di bilancio di una famiglia e che, dunque, se tanto guadagna tanto (e non di più) possa spendere (salvo che per finanziarie banche decotte).

Nino Galloni, in un bell’articolo pubblicato per conto del nemico, giustamente evidenzia come tale mito abbia comportato l’introduzione di limitazioni artificiali al potere degli Stati ben “oltre i limiti «naturali» derivanti dal buon funzionamento del sistema”, fino a rendere tali vincoli degli “«obiettivi» [in sé]… (peraltro arbitrari perché non derivanti da un riscontro oggettivo, come la possibilità concreta di crescere del sistema)”: si è passati, cioè “dalla arbitrarietà degli Stati a quella degli anti-Stati” (le Banche Centrali indipendenti, le Commissioni, ecc.), così da permettere “il fenomeno di prevaricazione da parte dei tecnici, il cui compito principale doveva risultare quello di fornire ai politici dati, informazioni e supporto proprio a riguardo dei vincoli”, ferma restando la competenza politica a “individuare obiettivi veri e propri”.

In altre parole, Nino Galloni sta dicendo che se le panchine sono sfasciate, se la sanità funziona sempre peggio, se i trasporti pubblici sono allo sbando, se la scuola tutto è meno che buona, non è perché mancano i soldi (di cui non risultano esistere miniere), bensì perché soggetti politicamente irresponsabili (la BCE, la Commissione Europea, inter alia) pongono vincoli irragionevoli (il pareggio di bilancio, il Fiscal Compact, i parametri di Maastricht, l’ossessione per la stabilità dei prezzi) alla Cosa Pubblica. A vantaggio, evidentemente, di ben individuabili lobby private.

Il razzismo dei buoni è anche classismo dei buoni.

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