
Nel nostro Paese “permangono i rischi da inflazione e frenata del Pil”. A lanciare l’allarme è stata Bankitalia. Ma qual è la causa dell’aumento dell’inflazione? Si dice che è pericoloso aumentare i salari, perché altrimenti uno alimenta l’altro e i prezzi continuerebbero a salire. In realtà, nell’ultimo periodo si è fatto spazio un altro concetto: l’inflazione sta aumentando di più non tanto per i salari, ma perché le aziende continuano a tenere alti i profitti.
A fine marzo a sollevare il tema era stato Fabio Panetta, membro del Board Bce. “In alcuni settori i profitti stanno crescendo con forza e i prezzi al consumo stanno salendo rapidamente. Questo nonostante il fatto che i prezzi all’ingrosso siano in discesa da un po’ di tempo”, aveva detto. Anche la Bce, quindi, sembra ritenere che c’è spazio perché i profitti scendano e aiutino a non far salire troppo i prezzi. L’alternativa è che la Bce continui a tenere alti i tassi, con una doppia beffa: prezzi alti e tassi alti, situazione non ideale per consumatori e famiglie.
Come detto, anche Bankitalia ha lanciato l’allarme. L’alta pressione dei prezzi e la frenata dell’economia globale ed europea continuano a rappresentare un “elevato rischio” per la stabilità finanziaria del nostro Paese, ha sottolineato la Banca d’Italia. “Per gli altri Paesi dell’area dell’euro pesa”, ha aggiunto, anche “la persistente instabilità geopolitica”.
L’inflazione, ha spiegato ancora Bankitalia, sta colpendo il reddito disponibile e il risparmio delle famiglie italiane che tuttavia, rispetto anche ad altri Paesi europei, risentono in maniera contenuta del rialzo dei tassi di interesse sul debito per i mutui.
Nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria, la Banca d’Italia rileva una flessione del reddito disponibile reale, in parte mitigata dalle misure poste in atto dal governo, un calo della ricchezza finanziaria del 5,6% nel secondo semestre e un -5,3% della propensione al risparmio nell’ultimo trimestre. I mutui variabili sono solo il 37% del totale e il 30% dei nuovi mutui ha un tetto.
“Le condizioni della finanza pubblica sono migliorate nel 2022″, si legge nel rapporto sulla stabilità finanziaria, e “sono diminuiti, in rapporto al Pil, sia l’indebitamento netto sia il debito; il Def prevede che la riduzione continui nei prossimi anni. In prospettiva, il consolidamento di tali tendenze resta fondamentale”.
Riguardo ai salari, l’Istat – diffondendo la stima flash sui contratti collettivi e retribuzioni contrattuali tra gennaio e marzo – rileva: “Nella media del primo trimestre, nonostante il progressivo rallentamento della crescita dei prezzi, la differenza tra la dinamica dell’inflazione (IPCA) e quella delle retribuzioni contrattuali rimane superiore ai sette punti percentuali”. La retribuzione oraria media nel periodo gennaio-marzo 2023 è cresciuta del 2,2% rispetto allo stesso periodo del 2022, spiega l’Istituto di statistica.
L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a marzo 2023 segna un aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente e del 2,2% rispetto a marzo 2022. L’aumento tendenziale è stato dell’1,4% per i dipendenti dell’industria, 0,9% per quelli dei servizi privati e 4,9% per i lavoratori della Pa. “Nel primo trimestre 2023, gli incrementi a regime dei rinnovi del comparto pubblico relativi al triennio 2019-2021 accelerano la crescita delle retribuzioni contrattuali, che tuttavia rimane contenuta”, spiega l’Istat.
E ancora: “La modesta dinamica retributiva osservata nel comparto industriale – dove la quasi totalità dei contratti è in vigore – si associa alla limitata entità degli incrementi fissati dai rinnovi siglati tra il 2020 e 2021 (quando le aspettative inflazionistiche erano ancora molto contenute). Nel settore dei servizi, la più contenuta crescita salariale è anche legata al fatto che più della metà dei dipendenti è in attesa del rinnovo del Ccnl”.