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Il tarantismo spiegato da Monica Cirinnà

| 21 Agosto 2019 | EDITORIALE, POLITICA

Miserevole, penosa e vergognosa. Non esistono altri aggettivi per descrivere la scenata della senatrice Monica Cirinnà.
Il triste spettacolo si è tenuto nell’aula del Senato, ieri, durante l’intervento del Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
La “tarantata” Cirinnà si è scatenata quando Salvini ha pronunciato le paroline magiche “mamma” e “papà”, riferendosi al diritto dei bambini di avere un padre e una madre.
Frase che non è piaciuta alla senatrice arcobaleno e ha scatenato in lei una manifestazione isterica piuttosto preoccupante: ha iniziato a ridere e saltellare in maniera scomposta, volgendo il capo indietro e aprendo vistosamente la bocca. Una reazione che ci ha ricordato il fenomeno del tarantismo che gli studi antropologici hanno definito “sindrome culturale”.
Si tratta di una forma di isteria che colpiva prevalentemente le donne in Puglia e, si dice, sia causata dal morso (pizzico) della tarantola. Chi era affetto da tarantismo, iniziava a saltellare e a muoversi in maniera convulsiva, da qui deriva, appunto, la pizzica salentina.
A esserne colpite erano soprattutto donne che manifestavano deliri, depressione e anomalie motorie. I sintomi c’erano tutti.
E la tarantola in questione, quella che ha scosso la Cirinnà, è la genitorialità: mamma e papà, due figure che alla senatrice non piacciono. La stessa che si è scandalizzata per l’inno nazionale in spiaggia danzato da due cubiste, per poi apprezzarlo invece in contesti come il Gay Pride, dove molto spesso i diritti sacrosanti di tanti omosessuali seri, non hanno spazio a causa dell’indecenza dilagante. La stessa Cirinnà che ha posato orgogliosa, durante l’ultimo Gay Pride di Roma, accanto a una tale che indossava la maglietta con la scritta “Frociaria di Stato“, chiaro dileggio all’istituzione della Polizia di Stato.
Questo è il penoso teatrino a cui ieri siamo stati costretti ad assistere in piena crisi di Governo.
Va bene che il caldo dia alla testa, ma a tutto c’è un limite. Anche all’indecenza, cara Cirinnà.

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