“Chi non è con noi, è contro di noi”
Con questa frase, pronunciata il 24 marzo 1924 al Costanzi di Roma, Mussolini annunciava il proprio schema di polarizzazione sotto il quale il fascismo avrebbe governato l’Italia. Uno schema basato sulla divisione, l’inquadramento e l’identificazione della popolazione in due fazioni. La creazione di questa dicotomia rappresenta, al giorno d’oggi, la vittoria del pensiero totalitario ai danni dello spirito democratico, il prevalere della malattia del tifo politico sulla libertà di pensiero. Non è un caso che, ancora oggi – nel XXI secolo – l’Italia sia tra i pochi Paesi occidentali, se non l’unico, nel quale la frattura fascismo-antifascismo è destinata a sopravvivere fin quando ci sarà qualcuno disposto a rievocarla strumentalmente.
Nel marzo del ‘24, pur essendo a conoscenza di quanto favorevole potesse risultare l’indifferenza di una parte sostanziale della popolazione per rimanere indisturbatamente al potere, il fascismo ha provato il bisogno di ricreare una dicotomia nella quale la società politica venisse ordinata in due macro-aree all’interno delle quali il libero pensiero non avesse spazio. O si era in favore, o contro, non importava il perché. Poiché non c’era lo spazio per l’eterogeneità, chiunque andasse fuori di questa dicotomia cessava di esistere politicamente.
In sostanza, dietro la frase “chi non è con noi è contro di noi” non c’era soltanto la carica ideologica del pensiero fascista, ma una strategia volta a costituire una visione organicistica della società che superasse una cultura liberale incapace di attecchire negli strati più marginalizzati. della penisola. Questa nuova visione sarebbe diventata una fede e questa fede avrebbe guidato il popolo verso la propria emancipazione. Allo stesso modo, il processo di emancipazione avrebbe innescato l’inevitabile frattura tra popolo e anti popolo, patrioti e anti-patrioti, ecc.
Questa visione faceva già parte dell’essenza conferita attraverso la nozione stessa di popolo nei processi di national building. Il popolo come un tutto, come un qualcosa di omogeneo. Proprio come il corpo umano nel quale ogni membro deve essere utile al proprio fine garantendo la funzionalità dell’organismo. Nulla di nuovo né di strano dietro tutto ciò. Anche nell’URSS furono impiegati gli stessi metodi senza che gli Internazionalisti rivolgessero alcuna critica ai metodi utilizzati dal Partito Unico. Si tratta di contesti nei quali i regimi in questione e, in questo specifico caso, hanno cercato di creare nuovi processi di national building nei quali ci fosse una marcata impronta ideologica e l’incarnazione dello Stato in un partito unico e in un singolo uomo.
Tornando al tema della dicotomia, possiamo notare come essa abbia contribuito a legittimare la narrazione fascista conferendogli lo scopo di combattere un avversario, un nemico, un’antitesi. Infatti, il totalitarismo in sé non avrebbe avuto alcun senso senza la presenza di un avversario politico e, benché il fascismo fosse stato altro che la mera reazione al comunismo e al capitalismo, non possiamo negare che la presenza di questi elementi nell’elenco degli ostacoli che impedivano il raggiungimento degli obiettivi.
Ogni persecuzione, ogni restrizione alla libertà di pensiero, di opinione, di stampa e ai diritti politici in generale sarebbe stata sempre giustificata da un fine più elevato: il bisogno di sconfiggere i nemici interni che, alla loro volta, rappresentavano gli interessi di quelli esterni. Non sapremo mai se il fascismo avesse retto di più per la delegittimazione del nemico piuttosto che per una propria visione delle cose, quel che sappiamo è che l’evocazione dei nemici – come ad ogni regime illiberale – è stata utile, strumentale e ossessivamente presente nel discorso politico.
La vigenza del “con noi o contro di noi”.
Sebbene il fascismo appaia come una pagina ormai superata dalla storia, i metodi di polarizzazione da esso impiegati tornano a farsi ben presenti nella politica italiana. Il “con noi o contro di noi” viene evocato ogni volta che gli attori politici, da sinistra a destra, si sentono disorientati o a rischio di essere superati. In questi tempi si vive un forte ritorno di questa dicotomia fino al punto in cui il libero pensiero viene calpestato dagli inquadramenti forzati in uno schieramento o nell’altro.
L’incomprensione del presente, l’inadeguatezza dei partiti le cui strutture sono troppo lente e arrugginite per affrontare i veloci cambiamenti del nostro tempo e l’impossibilità di applicare gli schemi del ‘900 di fronte alle nuove sfide che emergono, costringono gli attori politici a prendere un atteggiamento reazionario al fine di garantire una sopravvivenza senza sforzi. In altre parole, l’evocazione del nemico resta utile e strumentale anche adesso, in questa fase di decomposizione in cui i partiti non hanno nulla da dire a una massa sempre più eterogenea, non rappresentata né interessata ai modi tradizionali di rappresentanza.
Potremmo definire questa fase come la rinuncia di essere un’alternativa per diventare degli animatori di uno sterile e interminabile confronto. La rinuncia ai contenuti per l’astrazione del pensiero politico in tesi e antitesi senza lasciar spazio a delle voci fuori dal coro si è trasformata nel patto politico per eccellenza sotto il quale la destra e la sinistra hanno garantito la loro esistenza in ambito nazionale attraverso l’intrattenimento e il risveglio dell’odio come motore dell’attività politica.
L’apice di questa polarizzazione si evidenzia al giorno d’oggi con l’emergere di nuove fratture, dicotomia e arene di confronto che non vengono discusse con obiettività, ma con la pretesa di imporre il proprio schema di pensiero. . E’ proprio in questo senso che il fascismo ha vinto sulla vita politica degli italiani, sconfiggendo la libertà di pensiero e facilitando dogmatismo promosso dai partiti di ieri e oggi.
Il fascismo ha vinto da quando è riuscito a esportare nel tempo la dicotomia del “con noi o contro di noi” che schematizza tutto, polarizza tutti e non ammette la complessità di una realtà in piena fase di mutamento.
La sfida più difficile dei nostri tempi risiede nel difficile ma necessario superamento delle dicotomie che vedono risorgere la frattura fascismo-antifascismo. L’anacronismo da essa prodotto, la distrazione e la polarizzazione che essa genera ci pongono fuori dal tempo stesso in cui viviamo. L’esercizio di questa analogia finisce per svalutare entrambe le realtà diminuendo il peso storico del passato e rubando al presente la propria originalità.