A Settembre, al Toronto Film Festival, Michael Moore dichiarava “Il fascismo è ormai tra noi. E adesso gli Stati Uniti sono come l’Italia”. Ospite di Propaganda Live su La7, nella serata del 19 ottobre ha ribadito il concetto “Cosa sta succedendo in Italia con questo governo pazzo?”affermazione arricchita da intercalari non propriamente televisivi. Il documentarista da sempre attivo sui diritti umani e da sempre prima Cassandra sull’elezione di Trump negli Stati Uniti e sulla deriva oltranzista in Europa, esprimeva il suo stupore su come sia possibile che un Governo come quello italiano prosegua nella sua opera senza avere alcun tipo di opposizione o discussione nazionale. Si sottolineava di come abbia offerto a più riprese il fianco a critiche e madornali errori, come sia stato oggetto degli interessi della magistratura con sentenze definitive, come da un punto di vista internazionale venga additato come eversivo nel suo significato meno edificante. Eppure, internamente non c’è nessuno che cavalchi la discussione in maniera credibile.
Per quanto Michael Moore sia un attento osservatore ed un acuto analista, non ha tutti gli strumenti per analizzare le mille pieghe in cui si è inviluppato il concetto stesso di Sinistra in Italia. È una storia affascinante che parte dai moti dei contadini ottocenteschi, all’affermazione della Costituzione secondo i principi del lavoro, che continua con le lotte studentesche e gli anni di piombo, che si arena sui concetti utopici di accoglienza e globalizzazione allontanandosi definitivamente dalla realtà del lavoratore che un tempo era il punto focale del suo stesso essere. Quasi un racconto dell’antieroe kafkiano che nella sua narrativa nasce come un predestinato, cavalca il suo climax ascendente nel tempo di un flusso di coscienza joyciano e poi si lascia scivolare nella più mediocre forma di capro espiatorio in stile Pennac.
Queste poche righe bastano a spiegare perché si grida alla morte della Sinistra. Proprio perché il tipo di linguaggio usato per descrivere concetti universali è quello del paragrafo precedente: incomprensibile ai più, scorretto per molti, non sufficientemente snob per altri. Ecco quindi che i bellissimi argomenti per i quali studenti e lavoratori degli anni sessanta marciavano fianco a fianco, vengono sezionati parola per parola, lettera per lettera affinché ogni minima corrente sinistroide nel nostro paese possa cogliere la più sottile sfumatura. Questa speculazione filosofica dei dettagli non avviene in tetre aule universitarie, ma sulla piazza del popolo, che è tristemente vuota.
Ecco quindi spiegato il continuo cambio di nomi del principale partito di sinistra in Italia, che continua a mutare a scindersi e ricostituirsi, a dare seguito a ramificazioni che si riuniscono al tronco principale impoverito da più parti dai continui attacchi interni. “E allora il PD?” è diventata una frase con la quale si può rispondere a qualunque nefandezza, a qualunque affronto. Sono certo che qualche automobilista, alla vista di una multa per divieto di sosta abbia potuto rispondere “E allora il PD?”. Guardando il loro stesso ombelico discutono delle correnti interne che vogliono o non vogliono un articolo indeterminativo nella dichiarazione di intenti su concetti che dovrebbe cavalcare. Si discute e ci si divide, ci si dichiara indipendenti, si fondono nuove “costole” di partito. Il tutto essendo totalmente trasparenti rispetto alla realtà.
Tutto questo avviene su una base di sostenitori elevata nei numeri, per quanto in minoranza. Purtroppo però, questo approccio autolesionista si è allargato ad ogni livello di Sinistra e qualche giorno fa abbiamo dovuto assistere anche alla scissione di “Potere al Popolo”. Formazione nota solo ai più appassionati di politica interna o a chi ricorda una simpatica scena nella notte del 4 marzo ai microfoni dell’inviato di Mentana. Durante l’intervista di rito in cui il Direttore si congratulava per il risultato raggiunto da una neo formazione dichiaratamente di sinistra alle Elezioni Politiche, la portavoce Viola Carofalo rispondeva candidamente, da un ristorante di San Lorenzo: “Siamo contenti e ora continuiamo a bere”. In queste parole c’era tutta la freschezza e la sincerità di un vero movimento partito dal basso, senza burattinai o piattaforme informatiche più o meno controllabili. Invece nelle giornate dal 6 e 7 Ottobre hanno indetto una consultazione online per rifondare il movimento in partito, allontanando Rifondazione Comunista in maniera definitiva e quindi poter ripartire dal 2,4% che comprensibilmente ora nei sondaggi è sceso sotto il 2%. Alle votazioni hanno partecipato ben 4041 persone (in altri casi bastano per eleggere un portavoce in senato), ma che obiettivamente sono solo il 55% dei possibili elettori iscritti sulla piattaforma di PaP. Le parti in causa festeggiano una “ritrovata democrazia dal basso”, visti da fuori fa tenerezza che in un colpo solo hanno ottenuto il completo disinteresse di quasi metà della pur minima platea racimolata.
La sinistra discute, cambia, si trasforma e perde identità. Un concetto privo di consistenza, una piuma che ha a che fare con le massicce ruspe concettuali del Governo che può permettersi di tirare dritto su tutti i possibili strafalcioni perché in assenza completa di alternativa. La sinistra grida allo scandalo per alcune decisioni del Governo, ma non offre soluzioni univoche. La sinistra addita alcuni componenti del Governo di palese inadeguatezza al luogo, ma non offre valevoli nomi alternativi.
Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.