
Il 12 settembre 2018 è un giorno che molto probabilmente entrerà nella storia dell’Unione Europea. In quella data il Parlamento Europeo ha espresso per la prima volta voto favorevole all’applicazione dell’articolo 7 previsto dal Trattato sull’Unione Europea nei confronti di uno Stato membro. È bene precisare che il voto dell’europarlamento dello scorso martedì non comporta l’imposizione di alcune sanzioni o la revoca di diritti all’Ungheria. Si tratta semplicemente di un voto necessario per dare inizio a una procedura che semmai verrà portata a termine potrebbe risolversi con l’imposizione di sanzioni oppure con la revoca del voto al governo ungherese. Ad ogni modo, la prossima mossa toccherà al Consiglio Europeo.
Tuttavia, ciò che a noi interessa non sono i tecnicismi giuridici che seguiranno l’inedito voto dell’europarlamento. L’Ungheria di Viktor Orban è in stato d’accusa perché si presume abbia violato i “valori su cui si fonda l’Unione Europea”, ovvero lo Stato di diritto, quindi la democrazia e i principi liberali su cui essa poggia, tra cui l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa e il pluralismo degli organi mediatici. Proprio questi ultimi due aspetti, fondamentali per poter assicurare l’esistenza di un dibattito pubblico plurale e libero da un’eccessiva ingerenza da parte dello Stato, sono quelli che ci interessano maggiormente. La questione della libertà d’espressione in Ungheria era infatti uno dei temi centrali del rapporto presentato dall’europarlamentare olandese Judith Sargentini.
La libertà di stampa in Ungheria è entrata in crisi a partire dal 2010, anno in cui Viktor Orban è tornato a ricoprire la carica di primo ministro, ruolo che già svolse dal 1998 al 2002. Da quando è tornato a capo dell’esecutivo, Orban ha intrapreso una campagna il cui fine è quello di mettere a tacere le voci critiche nei confronti del suo governo. La prima vittima di questa strategia volta a rendere i media ungheresi meri organi di propaganada del governo fu la televisione pubblica. Nel corso di questi otto anni la televisione e la radio di Stato hanno accresciuto la loro dipendenza dai finanziamenti pubblici e da quelli del partito di Orban (Fidesz) trasformandosi in organi faziosi e totalmente di parte.
Già nel 2010, subito dopo il suo insediamento, il governo Orban fece approvare dal Parlamento una riforma che aumentò il controllo governativo sui media, dalla carta stampata alle testate online, passando per televisioni e stazioni radio. In agosto venne creata l’Autorità Nazionale dei Media e delle Infocomunicazioni il cui scopo è quello di supervisionare l’operato degli organi di stampa ungheresi, sia pubblici che privati. Il primo ministro ha il potere di nominare il presidente dell’Autorità. Quest’ultimo fa parte anche del Consiglio dei Media, composto da cinque membri, il quale si occupa, tra le altre cose, di sanzionare gli organi di stampa che effettuano una “copertura mediatica sbilanciata”. Gli altri quattro membri del Consiglio sono eletti dal Parlamento, dove Fidesz può vantare una larghissima maggioranza da svariati anni. In novembre il governo fece approvare una norma che costringeva i giornalisti a rivelare le proprie fonti quando pubblicavano notizie relative alla sicurezza nazionale o pubblica. Inoltre, gli organi di stampa statali (televisione, radio, agenzia di stampa) vennero unificati e posti sotto il controllo del Consiglio dei Media.
Questa serie di riforme entrò in vigore nel 2011 nonostante le aspre critiche da parte delle opposizioni e di alcune organizzazioni internazionali. L’Osservatorio per i Diritti Umani mise in guardia dal pericolo che queste riforme rivestivano per la libertà di stampa. “La nuova legislazione crea un organo di controllo dei media i cui membri sono nominati dal partito di maggioranza in Parlamento […] La legislazione sui media compromette la libertà di stampa ed è incompatibile con gli obblighi presi dall’Ungheria nel campo dei diritti umani”. Pure l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) lanciò l’allarme dicendo che “la nuova legislazione sui media, se abusata, potrebbe mettere a tacere le voci critiche del governo e il dibattito pubblico nel paese”.
Mentre le riforme del governo mettevano in pericolo l’indipendenza dei media, gli organi di stampa statali si trasformavano in strumenti di propaganda del partito. Nel 2015 l’Ungheria venne investita dalla crisi migratoria che si sviluppò lungo la cosiddetta rotta balcanica. Da allora, il partito di Orban si è fatto portavoce in modo ancora più radicale di una retorica profondamente ostile nei confronti dei migranti i quali, secondo il primo ministro, sarebbero gli agenti di un complotto orchestrato dal miliardario ungherese naturalizzato americano George Soros insieme all’Unione Europea e ai partiti d’opposizione. La campagna per le elezioni parlamentari della scorsa primavera è stata centrata proprio sul tema immigrazione. I media di stato hanno raccontato tale questione in modo estremamente parziale parlando unicamente di casi di violenze o stupri che mettevano gli immigrati in una cattiva luce, andando così a legittimare e rafforzare la linea dura di Orban. Lo scorso aprile, pochi giorni dopo le elezioni, un giornalista ungherese che lavora per l’emittente pubblica rivelò al quotidiano britannico The Guardian che i media di stato avevano contribuito a creare “un’atmosfera di paura” attorno all’immigrazione. “La tolleranza viene regolarmente criticata, mentre il sentimento anti-immigrazione viene presentato come l’unica opzione valida” affermò il giornalista che decise di rimanere in condizioni di anonimato. Lo stesso avvenne già nel 2016 quando in Ungheria si tenne un referendum per chiedere alla popolazione se voleva o meno accettare la quota di migranti stabilita dal piano di ricollocamento dell’Unione Europea. Anche in quel caso i media di Stato assunsero una posizione estremamente parziale ed ostile all’immigrazione, seguendo perfettamente la linea del partito di governo.
Ma la parzialità della televisione pubblica non è l’unico pericolo per la libertà di informazione in Ungheria. Pure quotidiani e televisioni private sono stati duramente colpiti e nel corso di questo decennio la loro indipendenza si è progressivamente ridotta.