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Impeachment

| 26 Maggio 2018 | ATTUALITÀ, CRONACA, POLITICA

Ugo De Siervo, giurista, già giudice costituzionale, ora collaboratore della Stampa, è nato – paradossalmente, a Savona – 76 anni fa. Avrebbe dunque l’età per iniziare a profondere buoni consigli, essendo finiti i tempi per i cattivi esempi.

E invece, in un periodo già gravido di bufale costituzionali – mitologiche quelle di Riotta e di Palmerini – anche lui ha sentito il bisogno di accreditare tesi a dir poco eterodosse. Sulle quali, tra l’altro, sembra esserci un’inquietante consonanza con la Presidenza della Repubblica, che – abbiamo avuto modo di verificare – interviene invece in modo anche piuttosto insolito nei confronti di chi si permette di criticare, ancorché civilmente, il manovratore.

De Siervo, intervistato sulla qualunque da Repubblica (cioè da un giornale dello stesso editore della Stampa), sgancia subito la bomba: “non entro nel merito delle singole personalità, però posso dire che l’uscita dall’euro per l’Italia sarebbe incostituzionale. Dunque il presidente dovrebbe opporsi alla nomina di chi si ripromette questo… Se non si trovasse un accordo…, il presidente non potrebbe in alcun modo essere costretto. Se ci fosse un dissenso insanabile su un ministro, potrebbe non nominare il governo“.

Tralasciamo per ora la totale incomprensione delle dinamiche economiche e dei processi giuridici che sono sottesi ai Trattati Europei (ne riparleremo) e concentriamoci su questo chimerico potere di veto attribuito a Mattarella. Lo abbiamo già confutato in passato con le parole di Paladin, lo abbiamo confutato con le parole di Mortati, lo abbiamo confutato con le parole di Martines. Niente, l’ex giurista Ugo De Siervo non recede. Però, dovrebbe almeno ricordare cosa scrisse, meno di un anno fa, l’ancora giurista Ugo De Siervo: “la disciplina costituzionale appare esplicita nell’escludere un potere del Presidente della Repubblica nella scelta dei Ministri, anche se sembra che in alcuni discussi casi vi siano state pressioni in tal senso” (Caretti – De Siervo, Diritto costituzionale e pubblico, Torino, 2017 (!), 242-243).

Conversione, in pochi mesi, sulla via di Damasco (o di Roma)? Primi segni di senilità? Attitudine congenita a salire sul carro del perdente? Non è dato sapere. Più probabilmente, si tratta dell’infiltrazione anche in ambito giuridico di una attitudine che, da alcuni anni a questa parte, si riscontra tra gli economisti nostrani, abituati a scrivere (per l’Accademia, per usare un’espressione cara a Marattin) le cose come stanno, salvo poi rilasciare interviste (per il volgo) di segno totalmente opposto. Atteggiamento già stravagante in Averroè, figuriamoci in un costituzionalista.

Ma, fino a qui, si sarebbe nel campo dell’indecenza intellettuale e, dunque, potremmo tranquillamente soprassedere. Senonché, ieri sera, si è letto questo.

Io sono certo, anzi: io so, che i comportamenti attribuiti al Presidente della Repubblica non corrispondono alla verità. Perché se così non fosse – se fosse cioè confermato un veto, o anche solo una pressione, sul prof. Conte per non nominare il prof. Savona – sarebbe un obbligo politico e morale, per i deputati leghisti, richiedere la messa in stato di accusa di Mattarella ai sensi dell’art. 90, Cost. (e della L. cost. 11 marzo 1953 n. 1, mod. legge cost. 16 gennaio 1989 n. 1).

E poi al voto.

TAG: De Siervo, Lega, Mattarella, Matteo Salvini, Savona
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