La sinistra italiana è un re nudo, hanno provveduto a svestirlo gli elettori del 4 marzo, respingendo al mittente le due opzioni proposte, quella soft del PD e quella hard di LEU.
Nel corso dell’ultimo anno i reduci postcomunista ci hanno spiegato con opulenza di particolari le ragioni del loro allontanamento dalla casa madre, nella quale si era proditoriamente insediato un occupante abusivo che ne aveva modificato la destinazione urbanistica, in barba alle regole dettate dai sacri testi.
Garantivano che avrebbero recuperato alla “causa” gli orfani della centenaria ditta, dispersi tra astensionismo e protesta, in quanto disillusi per lo scolorimento del partito, privato dalla nuova gestione di una enorme quantità di globuli rossi.
Alcuni di loro hanno lasciato comode imbarcazioni di diporto per tuffarsi nella campagna elettorale, altri si sono dedicati alle predilette metafore animalesche, arricchendole di sapide varianti, ma ogni sforzo di dimostrare la fondatezza dell’assunto dal quale si erano mossi è miseramente naufragato nell’indifferenza delle mitiche masse operaie.
Sull’altra sponda il PD nominalmente renziano, ma pur sempre popolato da anime inquiete di occhiuti difensori di seggi e posti di potere, nonché di esperti di raffinatissimi intrighi, insisteva nella narrazione delle proprie benemerenze nei confronti del Paese, ma lo faceva sempre in luoghi chiusi e protetti, nel timore di clamorose contestazioni.
Il tutto mentre l’Italia ribolliva ed organizzava lo sfratto della sinistra, indirizzando il proprio voto verso la Lega ed il M5S. Se oggi la Camusso rivela che i lavoratori iscritti alla Cgil hanno votato per Di Maio, ci regala la prova lampante della mutazione genetica di un partito, che non sa più chi rappresenta ed, impantanato nel guado della crisi di identità, rinnega la leadership scelta dalla sua base e tenta disperatamente di trovare un qualsiasi Caronte. Il suo segretario uscente, anzi uscito, fa sapere che non si ricandiderà alle primarie e farà il senatore semplice, certificando di non avere futuro in una comunità che gli addebita la responsabilità del disastro elettorale.
Questo lo scenario, ma chi dice che non esiste vita oltre il PD per i liberal-democratici, progressisti e riformisti ? Che il loro patrimonio di idee, esperienze, sapere ed amore per la patria debba andare drammaticamente disperso? Resistere allo tsunami populista ed iniziare, con Renzi o senza, la traversata del deserto è un dovere al quale non possiamo sottrarci.