Liberarsi di Renzi è stato negli ultimi anni il principale assillo di una vasta schiera di personaggi politici, provenienti da tutte le aree, che si sono sentiti minacciati dall’intraprendenza di un giovane baldanzoso ed arrembante, capace di scompaginare vecchi giochi di potere, snidare conventicole, sfidare gli avversari in campo aperto, senza curarsi di prevedibili ritorsioni.
Il ragazzo, ambizioso ed irriverente, ha impugnato la spada fiammeggiante del riformismo, in un Paese conservatore, che lo ha sempre rifiutato, così come è stato, nella stragrande maggioranza, indifferente alle pulsioni risorgimentali degli ottocenteschi spiriti eletti.
Lo spirito del tempo ripropone il ruolo dei tribuni della plebe, pronti a farsi interpreti di ogni rivendicazione popolare, a riparare torti, ad inventare risorse per eliminare diseguaglianze, a mettere in discussione il mercato e tutti i principi dell’economia liberale, ad elevare barriere protettive contro l’invasione di uomini, merci, idee.
Remare contro questa corrente impetuosa, che ha travolto ed irriso i partiti tradizionali, e proporre soluzioni ragionevoli e graduali agli annosi e duri problemi del Paese, è stata una scommessa perduta in partenza, anche per l’ottusa faziosità di settori politici, come FI, che avrebbero dovuto chiaramente assecondare lo sforzo riformista, anziché contrapporsi
nel nome di superati poli ed aggregazioni divenute nel tempo innaturali.
Ora che la missione di eliminarlo, pregiudiziale al ritorno del vecchio consociativismo, è stata brillantemente portata a termine, lasciando sul campo le rovine dell’ingovernabilità, ora che sui gradini del Senato novelli Bruti si apprestano a pugnalarlo, abbia la forza di percorrere l’ultimo miglio e di strapparsi di dosso la camicia di Nesso di un partito, il PD, incapace di reggere il lavoro di costruzione dei sogni, ma solo incline a nutrirsi del potere, anche delle briciole che potrebbero dispensargli gli odierni vincitori, che lo hanno a lungo esecrato e vilipeso.