Siamo già in campagna elettorale e, mentre Berlusconi riannoda le fila di una coalizione variegata e multiforme, inventando contenitori per anime disperse e riesumando attempati reduci della DC, colti sul viale del tramonto da struggente nostalgia, la sinistra sembra entrata in un oscuro labirinto e, dopo aver smarrito le coordinate del punto di partenza, non riesce a trovare l’uscita.
Il primo problema è quello di un’identità appannata dalla lunga permanenza al governo, che l’ha inevitabilmente costretta all’assunzione di molte sgradevoli responsabilità, connesse all’esigenza di mettere in sicurezza i conti pubblici e di piegarsi ai diktat dell’Europa.
Il secondo è legato al naufragio della riforma istituzionale, bocciata perentoriamente dagli italiani e divenuta subito causa scatenante di regolamento dei conti all’interno del PD, con corollario di scissioni e rancori sanguinolenti.
Questioni normalmente superabili e strappi suscettibili di pazienti ricuciture, se non fosse, nel frattempo, intervenuto qualcosa di irreparabile: l’occupazione di tutto lo spazio della protesta politica e sociale, storico territorio di caccia del PCI e dei suoi replicanti, da parte di un movimento antisistema che inibisce alla sinistra di esercitare il suo ruolo tradizionale.
Gli stessi scissionisti, unitamente alle altre velleitarie e supponenti formazioni politiche che contestano al PD l’egemonia dell’area, si agitano moltissimo per conquistare frammenti di elettorato, ma esibiscono la drammatica impotenza di chi lotta per sopravvivere, senza poter coltivare credibili ambizioni di incidere sui tavoli che contano.
Se a tutto ciò si aggiunge che l’invasione dei migranti, appesantita dalla minaccia dello ius soli, ed i risparmiatori inferociti dal crac delle banche, riaprono a Berlusconi le praterie del centro, che Renzi ambiva a conquistare con il suo riformismo, il cerchio si chiude.
Parlare di psicodramma della sinistra mi sembra appropriato.