Criticare, come fa Della Loggia, l’assetto istituzionale del Paese, per poi stroncare Renzi che vuole modificarlo, sembra strumentale e contraddittorio.
Nel suo lunghissimo editoriale sul Corsera di oggi il nostro eroe accusa il segretario del PD di aver messo spregiudicatamente in gioco, sul tavolo traballante delle sue fortune elettorali, l’immagine della Banca d’Italia, istituzione incaricata di funzioni importanti e delicate. Afferma, quindi, che la mossa si sta ritorcendo come un boomerang sul suo ideatore, il quale, a far data dalla sconfitta referendaria, avrebbe perso lucidità e capacità di consenso.
Rispettabili opinioni, a cui manca peraltro il riscontro del risultato delle prossime elezioni, se non fossero accompagnate da un’analisi di segno opposto sui meccanismi decisionali di cui si sostanzia il potere in Italia. A tal proposito, l’autore lamenta il fatto che il nostro Paese non ha la fortuna di essere guidato da un esecutivo forte e stabile, nel quadro di un efficace divisione dei poteri, per cui le decisioni non possono essere prese, in tempi ragionevoli, da coloro i quali dovrebbero esserne funzionalmente preposti, ma vengono adottate a seguito di defatiganti concertazioni tra una serie di soggetti (segretari di partiti, ministri, presidente del consiglio e della Repubblica), che interloquiscono tra loro attraverso un gioco di indicazioni, veti, scambi, compensazioni e promesse. Anche la designazione del presidente della Banca d’Italia avviene in questo modo, con la metodologia del mercato delle vacche, che produce discredito della politica ed alimenta il populismo.
La concertazione è lo specchio della frantumazione istituzionale del potere italiano e Renzi, sempre a detta di Della Loggia, ha voluto rimarcare il suo ruolo di outsider e l’estraneità ad un certo modo essere, ha mimato il M5S, ma non è credibile, in quanto è il capo del principale partito e per 3 anni, da presidente del consiglio, ha frequentato saloni, stanze e sottoscala di quel potere che oggi contesta. Il tema è quello della democrazia decidente, su cui si sono espressi i cittadini in sede di referendum, stroncando il tentativo di riforma istituzionale, ma affermare che Renzi, pur essendo nel giusto, non ha il diritto di portare avanti la sua battaglia perché ha a lungo convissuto con l’italico consociativismo, e che, comunque, è sbagliato prendersela con la Banca d’Italia, sembra improprio, ingeneroso ed espressione di quell’antirenzismo di moda e di maniera che imperversa nel nostro Paese.