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Quante sinistre

| 30 Settembre 2017 | POLITICA

È trascorso un solo decennio dal sogno veltroniano di una grande sinistra riformista con vocazione maggioritaria, quale componente virtuosa di un bipartitismo all’americana, per vederci precipitati nella totale diaspora dei cosiddetti progressisti.
Adesso giganteggiano gli esegeti della scissione nucleare, quelli che ci spiegano la decomposizione a catena degli esuli dal PD, impegnati in diatribe bizantine, per stabilire quale sia la dose esatta di sinistra idonea a far funzionare il sistema.

Si è pervenuti alla fondazione di un nuovo partito, Mdp, accreditato dai sondaggisti di percentuali attorno al 3%, ma opinare che si presenti compatto è esercizio di inutile ottimismo, in quanto, mentre Bersani tiene aperta qualche fessura di dialogo con la casa madre, D’Alema ha orgogliosamente sbarrato porte e finestre.
Ma non è tutto: tra il PD e gli scissionisti esiste una intercapedine, denominata “campo progressista” e guidata da Giuliano Pisapia, che aspira a costruire un nuovo centrosinistra, attraverso la creazione di un altro soggetto politico disponibile, a certe condizioni, a dialogare con un PD preferibilmente derenzizzato.

Tale formazione politica corteggia apertamente due notabili che galleggiano in una terra di nessuno, Prodi e Letta, i quali, a loro volta, tengono i rapporti con la minoranza di Orlando, che contrasta Renzi dal di dentro.
Colto da sfinimento, non mi dilungherò su Civati, Fratojanni, Montanari, Ferrero e Rizzo, ma spero di aver comunque reso l’idea…

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