La fase politica che stiamo vivendo, caratterizzata dalla ridefinizione delle identità, dopo l’orgia maggioritaria della seconda repubblica, con i suoi assemblamenti arruffati di sigle e famiglie ideologiche eterogenee, ci restituisce aneliti di restaurazione di antiche soggettualita. Anche i democristiani, per iniziativa di De Mita, intendono dar vita ad una coalizione popolare, da ubicare in uno spazio tra Berlusconi e Renzi, utilizzando la resurrezione del proporzionale come occasione da non perdere per riscoprire il senso della loro storia.
Ma a De Mita sfugge che Alfano, Dellai, D’Alia, Follini, e quanti altri risponderanno al suo appello, per ritrovarsi venerdì a Napoli, sono solo una piccola parte di quella storia e, se non si hanno progetti politici da far crescere, come ammette il buon Ciriaco, a cosa serve ragionare, in un Paese che ha enormi problemi di governabilità? Il volerersi differenziare a tutti i costi da Renzi, che, nonostante limiti culturali e difetti caratteriali, è l’unica bandiera riformista in grado di sventolare, appare francamente come il capriccio di una velleità senile di difficile decodificazione.
Tanto più nel momento in cui il segretario del PD si sta progressivamente liberando di tutta la zavorra postcomunista, per collocarsi visibilmente in quella posizione di centro che guarda a sinistra, propria del miglior retaggio dei cattolici democratici. Se l’unione tra diversi di DS e Margherita non ha dato i frutti sperati e si sta frantumando, la divisione tra omogenei produce solo inutile frammentazione e puzza lontano un miglio di personalismo.