Le indagini sulla morte di Liliana Resinovich, la donna scomparsa a Trieste a fine dicembre 2021 e ritrovata senza vita il 5 gennaio 2022 nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, continuano a riservare colpi di scena. Dopo oltre due anni di incertezze, ipotesi e perizie, la Procura di Trieste ha cambiato radicalmente rotta: secondo la nuova ricostruzione del PM Maddalena Iozzi, ad uccidere Liliana sarebbe stato il marito, Sebastiano Visintin, soffocandola proprio nel parco dove il corpo fu scoperto.
Uno dei punti cruciali emersi in queste ore è la possibile rivalutazione delle testimonianze di alcuni sanitari che operano all’interno del parco di San Giovanni. Questi ultimi, già nelle prime settimane dopo il ritrovamento, avevano riferito di aver notato una figura sospetta nei pressi del luogo del ritrovamento, in particolare un uomo con la barba bianca, vestito di scuro e con una torcia, avvistato alle prime luci dell’alba proprio il giorno del ritrovamento del cadavere.
Queste testimonianze, inizialmente considerate non decisive, potrebbero ora acquisire nuovo peso, alla luce delle nuove ipotesi della Procura che vedono Visintin come sospettato principale. Il legame tra l’uomo avvistato e la figura del marito, secondo alcuni elementi investigativi ancora non ufficializzati, potrebbe essere ora oggetto di approfondimento.
Un altro aspetto che sta facendo discutere è la situazione attuale di Sebastiano Visintin. Da ieri, il marito di Liliana risulta irreperibile, fatto che ha alimentato dubbi e speculazioni. Nonostante ciò, fino a poche ore prima della scomparsa, continuava ad aggiornare i suoi profili social, pubblicando foto insieme alla moglie e dichiarazioni nostalgiche.
La svolta nelle indagini è stata resa ufficiale attraverso una richiesta di incidente probatorio, depositata dalla Procura presso la gip Flavia Mangiante il 21 maggio scorso. La richiesta riguarda Claudio Sterpin, l’amico di Liliana con cui la donna, secondo le ricostruzioni, avrebbe avuto intenzione di iniziare una nuova vita.
Il cambio di rotta della Procura è netto. Dopo che per mesi si era parlato di un possibile suicidio, con molte perplessità sulle modalità del decesso, ora si avanza con forza l’ipotesi dell’omicidio. Liliana Resinovich fu ritrovata con la testa infilata in due sacchetti di plastica trasparente per alimenti, fissati con un cordino attorno al collo, e il corpo chiuso in due sacchi neri per rifiuti.
Modalità difficili da ricondurre a un suicidio, come ha sempre sostenuto anche il fratello della vittima, Sergio Resinovich, che ha chiesto a più riprese di non archiviare il caso.
L’avvocato Nicodemo Gentile, legale del fratello Sergio, ha commentato con prudenza le nuove accuse:
«Questa ipotesi e i nuovi dettagli emersi sono assolutamente neutri, non ci esaltano e non ci scoraggiano. Si tratta solo di un capo di imputazione che in un’indagine per omicidio partita da poco è un elemento provvisorio che può cambiare in base agli sviluppi delle indagini e che va contemperato con una presunzione di non colpevolezza da riconoscere a un semplice indagato».
Il caso Resinovich continua ad appassionare l’opinione pubblica, non solo per la sua drammaticità, ma anche per le numerose incongruenze, i ritardi investigativi e le piste trascurate. Oggi, grazie al rinnovato impulso delle indagini e al possibile riesame di testimonianze chiave, si apre uno spiraglio verso una verità che i familiari della vittima cercano da oltre due anni.
Restano ancora tanti interrogativi:
Chi era davvero l’uomo con la barba bianca visto nel parco?
Perché Visintin è scomparso proprio ora?
Quali nuovi elementi hanno spinto la PM a riformulare l’intero impianto accusatorio?
La speranza è che, con l’assunzione dell’incidente probatorio e l’analisi delle testimonianze riemerse, la giustizia possa finalmente dare un nome e un volto a chi ha strappato Liliana Resinovich alla vita.