
No, non è quel famoso film di Jonh Sturges e interpretato da Steve McQueen, non si tratta di un evasione per conquistare quella libertà all’epoca negata del nero stivale nazista.
Si tratta di una fuga che ha come tema centrale l’abbandono di un Italia a forma di uno stivale che calza troppo stretto a coloro che pur avendo conseguito una laurea,non riescono a trovare sbocchi professionali attinenti agli studi intrapresi. La migrazione dei giovani laureati e ricercatori,scienziati, medici,ingegneri, biologi e quant’altro sta diventando un dato allarmante, e all’orizzonte, per il sistema produttivo italiano nel campo della ricerca scientifica e delle tecnologie avanzate le certezze cominciano a vacillare e il fantasma della regressione economica determinato dalla cosiddetta “Fuga dei Cervelli” inizia a prendere forma.
Un duro colpo al capitale umano italiano che vede andare via milioni di giovani diretti all’estero in cerca di fortuna,ma sopratutto in fuga da un ormai consolidato “Sistema Clientelare” che non lascia spazio ai giovani talenti e ai lavoratori qualificati e che ha cancellato definitivamente il tanto decantato e osannato “Sistema di Meritocrazia” portato avanti da certa politica solo ed esclusivamente in campagna elettorale,per poi essere abbandonato in nome di quelle logiche affaristiche che hanno decimato il capitale umano, quindi quella forza lavoro che avrebbe portato l’Italia verso obbiettivi di produzione all’avanguardia sopratutto nei campi della medicina, della ricerca scientifica e dell’ingegneristica .
Non a caso sono in molti gli italiani che emigrando con una laurea poco considerata in Italia e molto valutata all’estero in particolare negli Usa-sperando che il Presidente Trump non imponga dazi anche al capitale umano proveniente da altri paesi-hanno imboccato strade, che lontano dal clientelismo e dal famoso “Baronato Universitario” portano ad una soluzione di gran lunga migliore in termini di tenore di vita, di autostima e risultati conseguiti nel corso della permanenza all’estero, in una nuova realtà lavorativa che sfrutta l’eccellenza di quel capitale umano decimato in paesi come l’Italia e valutato in tutt’altri paesi orientati allo sviluppo economico attraverso strategie di investimento nello ricerca e nello sviluppo.
Sarà il caso di dire che non si è profeti in patria? Tralasciando questo famoso detto potremmo prendere in analisi la realtà lavorativa di giovani immigrati negli Usa che nel campo delle tecnologie applicate e della ricerca hanno trovato non solo l’ambìto posto di lavoro,ma quel sistema di integrazione della forza lavoro che ha permesso a questi giovani di sviluppare le loro idee in uno stato-nazione che investe,ascolta e sviluppa le idee che arrivano dai cervelli d’oltreoceano.
Se dagli anni sessanta fino ad oggi i giovani lasciavano il Meridione emigrando nei grandi centri del Nord in cerca di lavoro, allo stato attuale i giovani laureati del Nord e del Sud lasciano l’Italia per emigrare nei paesi della UE o oltreoceano per rendere più stabile e sicuro il loro futuro lavorativo,ad evidenziare l’impoverimento del capitale umano del bel paese è il rapporto Istat sulla mobilità dei giovani laureati in cerca di sicurezza lavorativa lontano dai paesi d’origine.
La trasparenza dei dati mostra come il tessuto produttivo italiano si sta privando di quella forza lavoro in grado di sviluppare idee in materia di osservazione ,analisi,programmazione,intervento per trasformare le aziende in sistemi di produzione all’avanguardia e capaci di resistere all’impatto economico della globalizzazione e dell’importazione selvaggia da altri paesi.
Nell’arco di un decennio sono 400 mila i giovani laureati in una fascia di età compresa tra i 29 e i 34 anni a lasciare l’Italia, la precisione del dato numerico mostra che dal 2008 fino al 2017 c‘è stato un trend di crescita di quei giovani laureati in fuga che va dal 25,2% al 31,7% con un particolare per quest’ultimo dato che resta inferiore al numero di giovani diplomati pari al 34,3% quindi in netta crescita rispetto al 28,9% registrato nel 2008.
Tutto questo succede in un paese dove l’agire politico è orientato altrove e a dimostrazione di questa osservazione è sempre l’analisi statistica che mette in evidenza quanto investe l’Italia nella lista di quei paesi che investono poco su istruzione,ricerca e innovazione dei processi di “ Engine of Growth”. Se pensiamo un attimo alle strategie di investimento nei programmi di sviluppo e ricerca il rapporto del CNR parla chiaro e ci pone al dodicesimo posto nella lista dei 28 paesi UE con un spesa pari all’1’3% del Pil, dal 2000 al 2015 .
In questo arco temporale la spesa per ricerca e sviluppo e rimasta stazionaria e siamo passati, in rapporto tra ricerca e sviluppo e Pil dall’1,0% all’1,3% risicato nel 2015. Se questa non è regressione, il dato statistico la dice lunga sulla fuga dei cervelli dall’Italia e sulle prospettive future in attesa che gli addetti ai lavori svolgano un ruolo di coordinamento unico degli enti di ricerca e di un accorpamento di tutti i fondi destinati alla ricerca competitiva.
Senza dubbio ci si vuole allontanare dai sentimenti di patriottismo e quant’altro possa esserci nei nobili sentimenti degli italiani. Il messaggio chiaro e indelebile destinato ai piani alti sarebbe quello di abbattere definitivamente l’invalicabile muro del clientelismo e della sfrenata corsa alle poltrone, oltre a questo bisogna superare la mentalità retrograda in cui versa gran parte della popolazione del Sud Italia ancora legata agli arcaici e tradizionali schemi che racchiudono e rendono uno status economico e sociale sempre più orientato all’ottica del Familismo Amorale, quest’ultimo il fenomeno che sta deteriorando l’economia del Meridione senza possibilità di ripresa. Tutto questo agli occhi dei “Dirigenti”,sembra pura “Utopia”, ma non lo sarà quando il regresso economico,politico e sociale toccherà il picco più alto.