
Lo scorso 27 luglio il primo ministro ungherese Viktor Orban ha riaffermato in un discorso la sua visione dello Stato illiberale, detto anche Stato non liberale. In realtà, non si tratta semplicemente di una visione, cioè di un qualcosa di astratto che si vuole concretizzare. In Ungheria lo Stato illiberale è già realtà.
Il passaggio da liberaldemocrazia a democrazia illiberale è avvenuto nel corso di questo decennio, a partire dal 2010 per l’esattezza, quando Orban tornò ad essere il primo ministro ungherese, carica che già ricoprì tra 1998 e 2002.
Orban parlò per la prima volta di Stato illiberale il 26 luglio 2014. Quel giorno il primo ministro tenne un discorso in cui espose la sua analisi storica personale degli ultimi decenni. Essenzialmente egli individuò nella crisi economico-finanziaria del 2008 una frattura che mise in crisi il liberalismo a livello internazionale, a partire dagli Stati Uniti. Con il termine liberalismo Orban indica una cultura politica secondo la quale esistono individui ma non nazioni né confini, “ciascuno può fare quello che vuole nella misura in cui non danneggia la libertà del prossimo” e la sovranità degli Stati è minacciata, quando non è annullata, da speculatori finanziari, miliardari, multinazionali ed organizzazioni internazionali.
Secondo Orban, la crisi del 2008, come la caduta del muro di Berlino, ha prodotto, almeno in Ungheria, un cambio di regime. Come la caduta del muro di Berlino segnò il passaggio da dittatura comunista a liberaldemocrazia, così la crisi del 2008 ha decretato il passaggio da liberaldemocrazia a democrazia illiberale.
Inutile dire che lo Stato illiberale di Orban è impregnato di nazionalismo e populismo, entrambi funzionali all’individuazione – vale sempre la pena precisarlo – di nemici esterni ai quali imputare tutti i problemi del paese. Secondo Orban i problemi dell’Ungheria sono l’Unione Europea, gli immigrati e il miliardario George Soros.
Sorprende come Orban cerchi di dissimulare il fatto che la sua democrazia illiberale non è, o lo è poco, compatibile con le libertà civili e politiche. La democrazia illiberale “non nega i valori fondamentali del liberalismo, come la libertà, ma questa ideologia non è centrale nella sua organizzazione statale” disse Orban durante il suo discorso del 26 luglio 2014. Un modo velato per dire che – fino a quando lui sarà al potere – il governo ungherese non si straccerà le vesti per tutelare le libertà civili e politiche dei cittadini. D’altro canto l’Ungheria è una democrazia illiberale, non una liberaldemocrazia.
Infatti, nel corso di questo decennio la libertà di stampa – pilastro di qualsiasi liberaldemocrazia in quanto garantisce il pluralismo dell’informazione – si è progressivamente ridotta con i principali mezzi d’informazione ungheresi che sono finiti nelle mani di imprenditori vicini a Fidesz (il partito di Orban) mentre chi cerca di far sentire la propria voce fuori dal coro deve vedersela con una legislazione intricata che prende di mira l’informazione anti-governativa.
Ora, il punto è che l’Ungheria rappresenta una notevole eccezione rispetto a quella che è la realtà dell’Unione Europea, cioè un’unione di 27 Stati accomunati dal fatto di riconoscere, rispettare e tutelare i diritti e le libertà civili e politiche dell’uomo ancor prima del cittadino. Non solo a parole ma anche nei fatti. Un’unione di 27 liberaldemocrazie circondata a sud, a sud-est e ad est da Stati che non fanno della tutela delle libertà e dei diritti una loro priorità. L’Unione Europea rappresenta a tutti gli effetti un baluardo per tutti coloro che cercano non solo benessere ma anche tutela dei diritti. Lo dimostra il fatto che l’Ue è la meta dei flussi migratori che partono dall’Africa subsahariana e dal Medio Oriente, sebbene sulla questione migratoria essa abbia mostrato le contraddizioni di un’unione che è data dalla somma degli interessi nazionali dei 28 Stati membri.
L’Unione Europea non dovrebbe essere una mera unione doganale e commerciale ma anche un’unione di valori. E questi valori dovrebbero essere quelli che sono a fondamento della liberaldemocrazia. Il sogno europeo, che auspica una sempre maggiore cooperazione ed integrazione tra gli Stati membri, necessita di una narrazione che gli faccia da fondamento, che lo legittimi e che lo rivesta di quel simbolismo utile a creare un’identità europea complementare e sussistente nelle rispettive identità nazionali.
Al culmine di secoli e secoli di guerre l’Europa si autodistrusse nella prima metà del XX secolo, lungo quell’arco trentennale che va dal 1914 al 1945. Dopo l’apocalisse della Seconda Guerra Mondiale gli Stati europei compresero che cooperare era più conveniente che combattersi a vicenda. Iniziarono così un lungo processo di cooperazione ed integrazione che affondava le sue radici non solo in un passato drammatico e sanguinoso ma anche nella condivisione di valori comuni e di uno stesso regime politico, la liberaldemocrazia.
Ovviamente la realtà è più complessa e non si può parlare di processo d’integrazione europea senza accennare al ruolo che gli Stati Uniti, a partire dal 1945, ricoprono in Europa occidentale e poi, a partire dagli anni Novanta, in Europa centro-orientale.
Il punto è che il caso della democrazia illiberale ungherese rappresenta un ostacolo di non poco conto a qualsiasi narrazione fondata sui valori liberaldemocratici. E senza una narrazione in grado di conquistare i cuori è difficile creare un’identità condivisa.