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Siria: l’offensiva di Idlib mette alla prova le relazioni russo-turche

| 2 Giugno 2019 | ESTERI

L’offensiva del governo siriano del presidente Bashar al-Assad, supportato militarmente sul campo dai russi, è tutt’ora in corso. L’offensiva, che punta a cacciare i ribelli dal nord-ovest del paese, coinvolge tutta la provincia di Idlib, la parte settentrionale della provincia di Hama e la parte occidentale della provincia di Aleppo.

La campagna militare, in corso da poco più di un mese, ha già causato un alto numero di vittime. Secondo un comunicato pubblicato ieri dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, nel mese di maggio sono morte 1 149 persone, di cui oltre un terzo civili. Numerose vittime sono state causate dai bombardamenti, d’artiglieria e dell’aviazione, condotti dai russi e dai lealisti. Anche il numero degli sfollati è molto elevato. Sarebbero almeno 200 mila i civili siriani in fuga dai combattimenti.

L’intento ufficiale dell’offensiva del governo siriano è quello di cacciare i terroristi presenti nel nord-ovest del paese. Effettivamente, l’ultima regione del paese in mano ai ribelli vede la presenza preponderante del gruppo jihadista Tahrir al-Sham, derivato da al-Nusra. Un’altra importante fazione ribelle presente nel nord-ovest è il Fronte nazionale per la liberazione, coalizione di numerosi gruppi armati non jihadisti appoggiati dalla Turchia.

Proprio Turchia e Russia sono le potenze protagoniste delle vicende politico-militari a Idlib e della loro evoluzione. Lo scorso settembre un’offensiva militare del governo siriano nel nord-ovest fu scongiurata proprio da un accordo tra Ankara e Mosca che stabilì la creazione di una zona di de-escalation demilitarizzata laddove il territorio controllato dai lealisti incontrava quello controllato dai ribelli.

Quindi, la Turchia appoggia alcuni gruppi ribelli nel nord-ovest mentre la Russia, oltre ad appoggiare Damasco, è attivamente impegnata nell’attuale campagna militare. Ankara e Mosca si trovano quindi su fronti opposti. Pertanto, le vicende che stanno accadendo nel nord-ovest della Siria stanno mettendo alla prova le relazioni russo-turche.

L’accordo di Sochi del settembre 2018 tra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan per demilitarizzare il nord-ovest e creare una zona cuscinetto di de-escalation è di fatto decaduto con l’offensiva del governo siriano, intenzionato a mettere fine alla resistenza ribelle dopo oltre otto anni di guerra civile.

Dato che il nord-ovest della Siria confina con la Turchia, con la provincia di Hatay per essere precisi, l’offensiva militare siriana potrebbe mettere pressione sul confine turco. Di fatto questo è quello che sta accadendo. Decine di migliaia di rifugiati siriani, fuggendo dalla furia dei combattimenti, si sono diretti verso il confine con la Turchia che è pero chiuso.

L’attraversamento del confine turco-siriano fu la prima tappa dell’epopea dei rifugiati siriani e mediorientali che, in fuga dalla guerra, desideravano trovare riparo in Europa passando per la cosiddetta rotta balcanica. Una volta attraversata tutta la Turchia e dopo aver rischiato la vita per superare il tratto di mare che separa questa dalla Grecia, i rifugiati risalivano i Balcani per arrivare alla tanto sognata meta, l’Europa occidentale. La crisi migratoria del 2015 giunse a termine con un accordo tra Unione Europea e Turchia. Quest’ultima ha acconsentito a tenere i rifugiati siriani sul proprio territorio. Sono 3,5 milioni i rifugiati siriani presenti in territorio turco.

Essendo stata chiusa la rotta balcanica ed essendo già altissimo il numero di rifugiati presenti sul territorio nazionale, la Turchia ha chiuso il confine con la Siria. Secondo l’agenzia di stampa Reuters, in una conversazione telefonica con Putin avvenuta giovedì sera, Erdogan ha chiesto di giungere a un accordo di cessate il fuoco per evitare ulteriori vittime civili e per bloccare il flusso di rifugiati verso il confine turco.

Venerdì, presso il villaggio siriano di Atmeh, a pochi chilometri dal confine con la Turchia, rifugiati siriani hanno protestato chiedendo la fine dei bombardamenti e che il governo turco apra il confine. Ad Atmeh, in seguito all’ondata di profughi generata dalla guerra civile, è sorto un campo che ospita decine di migliaia di rifugiati che vivono in condizioni proibitive.

Alle richieste turche di un accordo di cessate il fuoco, la Russia ha risposto dicendo che il raggiungimento di un tale accordo è responsabilità della Turchia, poiché i ribelli, secondo i russi, sono i primi che dovrebbero implementare l’accordo di Sochi.

Dal canto suo Erdogan ha più volte criticato l’offensiva russo-siriana nel nord-ovest.

“Abbiamo davvero bisogno di un accordo di cessate il fuoco a Idlib e bisogna che i terroristi la smettano di colpire i bersagli civili e le strutture che ospitano le nostre truppe” ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. I russi hanno protestato per un attacco missilistico proveniente da Idlib che ha colpito la loro base aerea di Hmeimim, nel governatorato di Latakia, lo scorso 20 maggio. Peskov ha definito questo attacco missilistico “una tendenza altamente pericolosa”.

Nonostante le reciproche accuse, Ankara e Mosca sono alle prese per giungere a un accordo di cessate il fuoco che normalizzi la situazione. “Il capo di Stato maggiore delle forze armate russe generale Valery Gerasimov ha discusso con la sua controparte turca, generale Yasar Guler, misure per un cessate il fuoco a Idlib” ha annunciato il ministero della difesa russo, aggiungendo che sono stati i turchi a chiamare i russi.

Mentre le diplomazie di Turchia e Russia tentano di porre fine alle ostilità, i combattimenti e i bombardamenti continuano e come al solito i civili siriani sono quelli che ci rimettono maggiormente.

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