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Palach, il suicida che non andò all’Inferno

| 30 Gennaio 2019 | CULTURA

In questi giorni cade il cinquantesimo anniversario della morte di Jan Palach, che il 16 gennaio 1969, in piazza San Venceslao a Praga, si dava fuoco per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Il giovane morì il 19 gennaio, dopo tre giorni di atroce agonia. In questi giorni in molti hanno ricordato il suo sacrificio, persino alcune organizzazioni di estrema destra, forse anche in un’ ottica di appropriazione postuma. E’ importante conoscerlo meglio.

Jan Palach aveva avuto un’ educazione cattolica. Suo fratello, Jiri parlò della sua fede da bambino, ricordando che all’età di 16 anni aveva letto la Bibbia. Jan da adulto non era praticante e non sappiamo avesse conservato la fede , ma ogni sera i due fratelli recitavano la preghiera loro insegnata dalla madre. Alcuni hanno fatto un parallelo con Jan Hus, che precorse di 100 anni Martin Lutero. Come vedremo non sono lontani dal vero. Ma Palach che idee aveva? com’ era orientato politicamente? Il giovane era un tipo determinato, che credeva nelle sue idee e che era pronto a testimoniarle. Sia nel 1967 che nel 1968 (fino al 17 agosto, poco prima dell’ invasione) aveva preso parte ed aveva attivamente promosso brigate giovanili di lavoro volontario in Urss. Parlava spesso con i suoi amici della bellezza selvaggia della natura in Siberia e in Kazakistan, era affascinato dalla gente e dalla bellezza del paese, ma non certo dal rigido sistema sovietico.

Jan Palach era un convinto  sostenitore del nuovo corso cecoslovacco, la Primavera di Praga,  iniziata il 5 gennaio 1968 con la elezione di Alexander Dubcek a segretario del partito comunista cecoslovacco in sostituzione di Antonin Novotny, uno stalinista che ricopriva la carica dal 1952 e che, il successivo 22 marzo, sotto la pressione popolare, fu anche costretto a dimettersi da presidente della repubblica. Dubcek , vissuto fin da bambino in Urss con i genitori esuli comunisti cecoslovacchi e rientrato in patria nel 1939, era probabilmente il meno filosovietico del comitato centrale. Uomo libero e riformista, fautore di un cambio di sistema, voleva promuovere un socialismo dal volto umano, più aperto e più democratico. Il socialismo dal volto umano è anche il titolo della sua autobiografia. I sovietici  consideravano con estrema preoccupazione i cambiamenti introdotti dalla nuova fase politica, quali ad esempio il venir meno della censura ed il voto segreto nelle più importanti decisioni di partito. Temevano queste aperture, considerate incompatibili con l’ortodossia marxista leninista.

In seguito a trattative svoltesi per quattro giorni di fila tra Dubcek e Breznev ed i gruppi dirigenti dei due partiti a Cierna nad Tisou, in zona di confine, si era giunti ad un inutile e formale compromesso. La posizioni restavano distanti, e dopo alcuni minacciosi avvertimenti il 20 agosto 1968 seicentomila soldati del Patto di Varsavia (esclusa la Romania) con seimila panzer invasero la Cecoslovacchia. Proprio in quei giorni, dal 22 agosto, il partito comunista della Primavera, ancora al potere, teneva il suo 14° congresso (clandestino) nella fabbrica CKD di Praga protestando per l’invasione compiuta da truppe degli altri paesi comunisti. Congresso alla macchia è anche il titolo di un libro di Jiri Pelinkan, che descrive bene i contenuti del dibattito e quel momento politico. Pelikan, direttore della tv di stato cecoslovacca, dopo l’ invasione prese la strada dell’ esilio e rimase in Italia dove anni dopo, nel 1979, fu eletto eurodeputato socialista.

In questa fase tumultuosa il giovane Jan, come riferiva in un’ intervista il suo caro amico Hubert Bystrican, non partecipava alla vita politica in prima persona, non prendeva la parola alle assemblee pubbliche e non aveva pubblicato – neanche finchè era stato possibile –  articoli sui giornali studenteschi, pur scrivendo per se’. Preferiva dedicarsi con impegno agli studi. Sapeva tutto di Nietsche e di Kant.Un altro suo amico , Atepain Bittner, ci parla del giovane Palach come di un ragazzo studiosissimo, soprannominato “il ricercatore”. Il loro ultimo incontro fu nell’ ostello dell’ università ai primi di gennaio del 1969, quando lui ed altri amici avevano organizzato una festa e aspettavano delle ragazze. Palach fece la sua comparsa vestito con un lungo cappotto scuro e un berretto nero, ma non partecipò al ritrovo. Anzi, se ne andò subito chiedendo: ma come fate a festeggiare in un momento simile?

Il giovane Palach evidentemente era già molto adulto, ed aveva scelto consapevolmente il proprio destino. Proprio la mattina del 16 gennaio, poche ore prima del suo gesto, aveva spedito a Bystrican  una cartolina con vista di Praga, dove, in poche parole in ceco antico scriveva  Ti porge i suoi saluti Jan Hus. Jan Hus era un riformatore religioso ceco, cche il 6 luglio 1415 era stato condannato per eresia, svestito dei paramenti sacri e poi bruciato vivo.Poche ore dopo  il giovane dopo essersi cosparso di benzina si diede fuoco davanti al Museo Nazionale,  come prima di lui, per protestare conto l’ invasione americana, avevano fatto i monaci buddisti del Vietnam.

Poco lontano dalle fiamme venne ritrovato lo zaino in cui il giovane Palach conservava  i suoi scritti ed i suoi articoli . In un appunto si  dichiarava membro di un gruppo di volontari che si erano impegnati a suicidarsi col fuoco l’ uno dopo l’ altro per la libertà e in segno di protesta. Così era scritto:

Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a darsi fuoco per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zpravy (notiziario delle forze di occupazione sovietiche, ndr). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà.

Nei tre giorni dell’agonia egli continuò a ribadire l’esistenza di questa organizzazione, senza tentennamenti. Così dichiarò la dottoressa Jaroslava Moserova, che lo aveva soccorso: Ho parlato con lui abbastanza e ho potuto sentire le sue opinioni sulle cose, era un giovane assolutamente normale, razionale, equilibrato. Sono sicura che sapesse cosa stava facendo. Durante i due giorni di agonia gli portavamo i messaggi della gente, da parte di operai, minatori, dall’ università, avevano capito, e anche lui seppe che non era stato un gesto vano

Il gesto di Palach ebbe risonanza vastissima in Italia. Enzo Bettiza, corrispondente del Corriere della sera scrisse che il sacrificio di Palach dava inizio ad una fase di transizione pericolosa, in cui gli equilibri interni al partito comunista  cecoslovacco sarebbero passati dai riformatori (l’area di Dubcek e della primavera ) ai realisti ortodossi (Vasil Bilak, il futuro presidente Gustav Husak ed i loro amici). Anche L’Unità diede grande spazio all’ evento titolando “Tragedia a Praga”. L’articolo, a firma di Pajetta lo trattava come atto individuale molto lontano dal modo dei comunisti di concepire la lotta politica. Sul fronte cattolico vi fu un intervento del papa Paolo VI e del cardinale Josef Beran, primate cecoslovacco, eroe della resistenza antinazista,  perseguitato dal regime comunista ed esule a Roma dal 1962 dopo 12 anni di carcere. La Civiltà Cattolica, rivista prestigiosa, giustificò il gesto suicida comprendendo le gravi ragioni che lo avevano animato. In particolare, lo difese il teologo cattolico Zverina secondo il quale Un suicida in certi casi non scende all’ Inferno e  non sempre Dio è dispiaciuto quando un uomo si toglie il suo bene supremo, la vita .

Nei giorni successivi ci fu un dibattito parlamentare in cui tutti i partiti espressero solidarietà. Il PCI prese le parti del partito comunista cecoslovacco, preoccupato di accostarsi alle manifestazioni di destra e fasciste che in quei giorni si svolgevano in Italia. Il caso cecoslovacco provocò una prima rottura con l’Urss, poi ricucita anche in seguito ad un viaggio di mediazione compiuto da Armando Cossutta a Mosca. E pochi giorni dopo, il  24 gennaio 1969, Sandro Pertini presidente della Camera tenne la commemorazione di Jan Palach  con parole molto sentite, ricordando che la libertà finisce sempre per trionfare sulle forze brutali.

Un anno dopo, nel 1970, il cantautore Francesco Guccini scrisse una canzone dedicata al martirio di  Jan Palach, in cui con parole forti e molto sentite paragonava il suo sacrificio a quello di Jan Hus, accumunandoli nella sorte di caduti per la libertà. In quei versi c’ è tutto: il fuoco, il dolore, il fumo nero, la rabbia, i carri armati e il buio dell’ occupazione. C’ è il ricordo corale del martire, tanto che ad ascoltarle sembra di assistere ai suo commiato ed al lunghissimo corteo funebre, seguito il 25 gennaio 1969 da una folla infinita di oltre seicentomila persone.

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