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Lula Da Silva e l’operazione Lavajato

| 8 Aprile 2018 | ATTUALITÀ, CRONACA, ESTERI, POLITICA

L’ex-presidente del Brasile Lula Da Silva è stato condannato a 12 anni di prigione per il suo coinvolgimento nel più grande scandalo della politica latinoamericana in processo aperto dalla 13° Corte Penale di Giustizia di Curitiba ed eseguito dal giudice Sérgio Moro.

Il 17 Marzo 2014 è stata resa pubblica l’Operazione “Lavajato” (autolavaggio) portata avanti dalla Polizia Federale del Brasile. Nell’operazione sono stati fatti oltre cento avvisi di garanzia ad alcuni esponenti partitici, membri del governo brrasiliano e imprenditori. L’obiettivo principale era quello di rintracciare il riciclaggio realizzato in diverse attività commerciali.

Dalle indagini risultano almeno 84 condannati, 49 accordi di collaborazione e 37 accuse contro 179 persone. Le aziende coinvolte sono 16 tra cui le appaltatrici Odebrecht ed OAS; L’ammontare dei fondi deviati è di circa 42,8 miliardi di dollari americani. Inoltre, si stimano circa 10 miliardi di dollari usati per il traffico d’influenze e tangenti di cui sono confermati almeno 6,4 miliardi. Nelle diverse indagini iniziate dal 2008 sono emersi i nomi di grandi gruppi criminali capeggiati da Carlos Habib Chater, Alberto Youssef, Mitsue Penasso Kodama, Raul Henrique Srour. Coinvolto anche l’ex-direttore id Petrobras che ha deciso di collaborare nelle indagini per ridurre la propria condanna.

Lo scandalo che coinvolge i governi brasiliani sin dal 1997, ha visto indagati esponenti dei vari partiti politici brasiliani. Dopo i primi risultati delle indagini, gli avvocati hanno qualificato di “vergognoso” lo scandalo che iniziava a prospettarsi nella vita pubblica del paese. Tra i nomi nella lista ci sono almeno 43 e di recente è stata scoperta la partecipazione dell’ex-presidente Lula Da Silva.

Infatti, Lula Da Silva è stato condannato a 12 anni di carcere. Dalle indagini, l’ex-presidente avrebbe ricevuto dall’appaltatice OAS un lussuoso appartamento di 215 metri quadri e diversi favori in cambio di appalti consegnati dal suo governo alla ditta in questione. In risposta, l’ex-presidente ha deciso di rifugiarsi in un sindacato protetto non “dalla folla” ne dal popolo, ma dai sostenitori del suo partito in una “favela” di Sao Paolo dove (chissà perché) lo Stato non detiene il monopolio della forza.

A tali effetti, Lula Da Silva non starebbe soltanto negandosi a rispettare le leggi e lo Stato di Diritto, ma addirittura, cerca di proteggersi all’ombra di gruppi armati che governano le “favelas” e con i quali, durante il proprio governo, ha avuto uno stretto rapporto clientelare.

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