Ogni dipendenza provoca una forma di schiavitù, che può facilmente trasformarsi in una vera e propria droga. L’identità dell’uomo di oggi è incentrata sull’uso del web: Internet, mail, contatti, social network, chat giochi e molto altro ancora.
Come annunciato da diversi mesi, la dipendenza da videogiochi entra ufficialmente nell’elenco delle malattie dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Durante l’Assemblea Generale in corso a Ginevra i Paesi membri hanno votato a favore dell’adozione del nuovo aggiornamento dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (la cui sigla è Icd-11), che contiene per la prima volta il ‘Gaming Disorder’.
Il nuovo testo, che sarà in vigore dal primo gennaio 2022, contiene definizioni e codici per oltre 55 mila malattie e condizioni patologiche, e viene usato per uniformare diagnosi e classificazioni in tutto il mondo. Il ‘gaming disorder’ è definito come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti”.
Per essere considerato patologico, continua il capitolo dedicato al problema, il comportamento deve essere reiterato per 12 mesi, “anche se la durata può essere minore se tutti i requisiti diagnostici sono rispettati e i sintomi sono gravi”. Tra le altre novità introdotte nel manuale ci sono anche l’introduzione di un capitolo sulla medicina tradizionale e la riorganizzazione delle malattie sessuali, che prima erano divise in varie parti del manuale, sotto un unico capitolo.
Nel contesto attuale, sta diventando eccessivo anche l’utilizzo di tablet, smartphone ecc.. La causa di questo malessere sarebbe l’uso eccessivo dei dispositivi tecnologici e la conseguente vasta mole di informazioni, contatti, input, che alla lunga sovraccaricano il cervello.
Già nel 2012, uno studio svedese metteva in guardia dall’utilizzo serale dei dispositivi elettronici, associando questo utilizzo e la costante reperibilità a un peggioramento del sonno. A confermare queste conclusioni nell’estate 2018 è arrivata l’indagine commissionata da Philips alla società di ricerca Strive Insight, sul rapporto tra utilizzo della tecnologia e qualità del sonno.
Dall’indagine emerge che gli italiani sono sempre più connessi: mediamente utilizziamo dispositivi tecnologici per 6-7 ore al giorno, con conseguenze significative sulla qualità del sonno. Il 73% degli intervistati ha dichiarato di fare un uso intensivo dello smartphone anche prima di dormire (chattando, controllando le pagine dei propri social e rispondendo alle e-mail), il 52% tiene regolarmente il cellulare sul comodino e il 40% lo lascia sempre acceso.
Il risultato? Difficoltà di addormentamento e un sonno interrotto da frequenti risvegli, anche se non ci sono più bambini piccoli che si svegliano di notte e richiedono la vicinanza di mamma e papà. Insomma, quando finalmente i genitori potrebbero dormire un po’ di più, ci si mette il cellulare a peggiorare la qualità del loro riposo.
Sempre secondo l’indagine condotta da Philips, il 94% del campione si sveglia nel corso della notte e una persona su quattro, in occasione del risveglio, consulta lo smartphone. In sostanza, non stacchiamo mai. Siamo sempre connessi. E questo va da sé, non fa bene. Né alla mente, né al corpo.