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Come Facebook è diventato un arma di disinformazione di massa

| 21 Novembre 2018 | ATTUALITÀ

Emergono nuove notizie riguardo la condotta tenuta da Facebook durante e dopo lo scandalo Russiagate. Una importante inchiesta del New York Times svela i retroscena e le decisioni prese dai manager del social network a partire dal 2016, anno in cui durante le presidenziali americane si scoprirono le interferenze russe. E i risultati sono tutt’altro che prevedibili.

Si viene ad evidenziare come gli strateghi dell’azienda vollero inizialmente tenere nascosto e minimizzare quello in cui si stavano imbattendo, ovvero una poderosa campagna di disinformazione politica svolta da entità russe verosimilmente guidate dal Cremlino. Fu solo quando tale operazione diventò troppo grande da poter essere nascosta che si decise di ammetterla pubblicamente, ovviamente ad elezioni concluse. Si scopre così che Facebook, pur essendo a conoscenza di pagine politiche create da hacker russi e del ruolo svolto da questi nello scandalo delle mail democratiche, decise di non intervenire durante la campagna elettorale per paura di essere additato come una forma di censura.

Successivamente, quando il potere alla Casa Bianca era passato nelle mani dei repubblicani, scelsero di non citare la provenienza russa degli hacker incriminati, premura dovuta al fatto che una tale notizia avrebbe messo in difficoltà i nuovi governanti. E’ così che, pur avendone le capacità, l’azienda scelse di non denunciare quella che è stata l’operazione d’influenza mediatica più grande della storia per schierarsi dalla parte del nuovo presidente, proprio colui che è stato eletto grazie all’aiuto di Mosca. Ma le similitudini con i nuovi metodi populisti non finiscono qui.

Per sviarsi di dosso le accuse che si facevano sempre più pressanti e gravi, Facebook ingaggiò una società di pubbliche relazioni specializzata in campagne elettorali, la Definers. Perché un colosso della tecnologia dovrebbe organizzare una simile operazione? Proprio come i candidati presidenziali, attaccati sempre più meschinamente, anche il social doveva passare all’attacco. Fu così che cominciarono a circolare articoli e contenuti che gettavano fango sui rivali, principalmente Apple e Google, accusandoli di rubare i dati dei propri users: in sostanza denunciandoli con le stesse accuse a loro attribuite per distogliere l’attenzione. Si arriva poi al caso più clamoroso, quello in cui un gruppo che chiedeva a Facebook di fare chiarezza sui legami e le interferenze politiche, Freedom from Facebook, venne tacciato di essere manovrato da George Soros, onnipresente nella narrativa sovranista.

La metamorfosi fu così completata: il social network più grande del mondo stava usando le stesse tattiche e le stesse tematiche dei politici populisti. Viene ora da chiedersi: è giusto lasciare nelle mani di pochi manager il potere di controllare le democrazie ed i risultati politici delle maggiori economie occidentali? Ricordiamo che le stesse interferenze si verificarono anche per la Brexit e in altri paesi tra cui l’Italia. La condotta sopra descritta mette in evidenza come il mezzo d’informazione e discussione più diffuso al mondo si trovi oggi in balia di potenze politiche interessate ad influenzare i sistemi democratici occidentali.

La via d’uscita? Le piattaforme web devono essere regolate dalle autorità statali, il management di tali compagnie deve garantire degli standard di trasparenza e sicurezza per i propri utenti. In particolare in Europa, dove tali operazioni d’influenza sono tutt’ora in corso, un tale obbiettivo può essere raggiunto solo da una regolamentazione federale dell’Unione.  Ne va della tenuta delle nostre democrazie ed i risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti.

TAG: web
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