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Abortire è un diritto alla vita. A Verona si cede alla Chiesa la macchina del tempo tornando indietro di 40 anni.

| 6 Ottobre 2018 | CRONACA, POLITICA

La città di Verona è contro l’aborto. Infatti con una mozione del consiglio comunale, Verona è stata dichiarata “città a favore della vita” finanziando e sostenendo associazioni prettamente cattoliche pronte a scendere in campo per una campagna di “sensibilizzazione” a favore della vita e assolutamente contro l’aborto. Anche il capogruppo del Partito Democratico Carla Padovani si è dichiarata favorevole alla mozione, argomentando che la vita è un diritto fondamentale e ha votato secondo coscienza dichiarando che a parere suo il PD non sia chiaro sulla sua posizione rispetto alla legge 194 e non capisce il perché di tante polemiche. Tante polemiche che non le impediscono di essere ancora lì a rivestire il suo bel ruolo da consigliere del Partito Democratico, ovvero del principale partito progressista italiano, dettaglio a volte da ricordare. Facciamo però un passo indietro, entrando nel merito della storia relativa alla legge sull’aborto in Italia, anzi partendo dai principi fondamentali della nostra costituzione: articolo 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e ancora 7 “ Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. A seguire, solo nel 1978 il parlamento italiano ha emanato la legge 194 che tutela la vita del nascituro quanto quella della madre; di aborto si parla nell’articolo 4, dove “l’interruzione volontaria della gravidanza” è permessa “entro i primi novanta giorni per la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. Queste parole si riferiscono al diritto alla vita della madre che è strettamente legato al suo stato di salute che per l’OMS dal 1948 si definisce come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia.”

Inoltre la legge specifica le modalità per l’attuazione dell’interruzione di gravidanza: la donna intenzionata ad abortire, per le motivazioni di cui sopra, “si rivolge ad un consultorio pubblico istituito […] o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia”. Tali strutture inoltre non sono obbligate a seguire le richieste, come nella stragrande maggioranza delle società occidentali, ma la donna è soggetta alla decisione del medico che può far valere “l’obiezione di coscienza”; i medici obiettori di coscienza in Italia sono il 70% (dati Ministero Sanità 2017), cioè una donna che vuole interrompere la gravidanza ha meno di un terzo di possibilità di riuscire a veder applicata la sua volontà.

Nello stesso momento in cui a Verona si approvava questa mozione, il premio Nobel per la Pace veniva conferito a due figure che lottano per i diritti all’autodeterminazione della donna. La realtà in cui queste persone lottano è lontana dal nostro vissuto quotidiano solo grazie all’emancipazione occidentale avvenuta dopo tanti sacrifici, femminicidi, aborti clandestini che anche in Europa imperversavano sino a pochi decenni fa (si pensi che il delitto d’onore è stato abrogato solo nel 1981). Queste lotte sono valse a garantire a noi, donne di oggi, i nostri sacrosanti diritti, cancellati d’un colpo da un gruppo di fantomatici politici tra cui il capogruppo del PD Carla Padovani, che pensano di scavalcare lo Stato e le sue leggi votando a favore della proposta leghista contro l’aborto. Parlo di Stato e non di Governo in considerazione del fatto che Lorenzo Fontana, attuale ministro della Famiglia a luglio dichiarò “lo stato aiuti le donne a non abortire”. Attenzione, questo è un enorme passo indietro per tutte quelle donne che sono state vittime di violenze e abusi, che verrebbero nuovamente giudicate o addirittura perseguitate e costrette a soluzioni alternative.

Il diritto alla vita è fondamentale per chiunque, questo si espleta anche nella volontà e possibilità di abortire secondo i tempi di legge, al di là dell’approvazione da parte di bigotti o comuni mortali, in un clima pacifico non soggetto a giudizio e secondo la volontà della donna che per diverse ragioni può scegliere di non portare avanti la gravidanza.

Questa ulteriore violazione dei diritti civili è solo la punta dell’iceberg; per fermare queste continue violazioni, dal mondo del lavoro alla dignità umana, bisogna che via sia una partecipazione più ampia della società civile e con essa una maggiore mobilitazione al fine di impedire altri casi come questi, dove la restaurazione e mortificazione della donna hanno preso il sopravvento. I profeti del Medioevo, da Fontana a Salvini, da Pillon a Bonisoli, vanno fermati prima che sia troppo tardi.

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