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Privatizzazione di Poste Italiane: perché non c’è da fidarsi

| 7 Gennaio 2024 | IL FORMAT

Nella conferenza di fine anno, la premier Giorgia Meloni ha confermato alla stampa la volontà di voler cedere parte delle quote in mano allo Stato italiano delle principali partecipate.
Le maggiori indiziate restano Poste Italiane e Ferrovie dove lo Stato è titolare rispettivamente del 65% (in co-abitazione con Cassa Depositi e Prestiti) e Trenitalia di cui lo stato è titolare al 100% tramite Ferrovie dello Stato.

Secondo alcuni analisti, il Governo sarebbe pronto a cedere il 49% di Ferrovie (detenendo quindi una maggioranza del 51%) e solo il 13% circa di Poste Italiane per una cifra totale vicina a 5 miliardi di euro.

Come confermato da Qui Finanza, l’obiettivo è rientrare nel nuovo Patto di stabilità che prenderà il via dal 2025. Per il futuro il governo non potrà più, come fatto nella Manovra 2024, ricorrere all’extradeficit cioè all’eccedenza del deficit reale rispetto a quello previsto. Il punto è reperire risorse per sostenere le misure inserite in Manovra, alcune delle quali confermate anche per l’anno successivo, senza alzare le tasse ma tagliando la spesa: “Tra le due preferisco tagliare la spesa”, chiarisce la premier. E non è tutto: il governo punterà su una spending review facendo “un lavoro più preciso” perché la situazione quest’anno “fornisce l’occasione”.

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Privatizzazione di Poste Italiane: perché non c’è da fidarsi?

Se per Trenitalia la cessione della quota sembra plausibile (lo Stato manterrebbe una proprietà superiore al 51%), resta molto più improbabile che lo Stato ceda solo il 13% di Poste (percentuale che gli consentirebbe di mantenere il timone dei servizi postali). Come già accaduto recentemente con il Monte dei Paschi di Siena, dove la quota statale è passata dal 65% al 40%, sembra molto più probabile che il MEF decida di cedere l’intera quota nelle sue mani (circa 4 miliardi di euro, risorse che potrebbero aiutare nell’obiettivo di rientrare nel Patto di Stabilità) lasciando il cerino in mano alla sola Cassa Depositi e Prestiti che diventerebbe di fatto un mero socio di minoranza di una società che ha versato nelle casse dello Stato nel solo 2022 250 milioni di euro di utili.

Anche se i tempi per le cessioni “potrebbero essere abbastanza lunghi e questo non dipende solo da me. Intanto abbiamo dato un bel segnale per Mps, alcune risorse sono rientrate. Lo Stato deve controllare quello che è strategico ma questo non vuol dire non aprirsi al mercato”, la notizia non lascia tranquilli dipendenti e sindacati che sono pronti a dar battaglia affinché questa cessione non si realizzi.

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