Il perché di quel mancato “casino”? È lo stesso Mion a dirlo “Forse perché tenevo al mio posto di lavoro. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico“.
Le scioccanti parole di Mion si riferiscono a una riunione del 2010 (ben 8 anni prima del crollo) a cui presero parte l’a.d. di Aspi Giovanni Castellucci, il direttore generale Riccardo Mollo, Gilberto Benetton, il collegio sindacale di Atlantia e, secondo quanto riferito dal manager, tecnici e dirigenti di Spea. Nonostante le sollecitazioni avute, nessuno decise di prendere provvedimenti per la messa in sicurezza del Ponte Morandi.
Se si fosse dato ascolto a quelle parole si sarebbe potuta evitare la strage che il 14 agosto 2018, alle ore 11:36, a seguito del crollo della pila 9 del viadotto, portò alla morte di 43 persone tra automobilisti in transito e alcuni dipendenti dell’Amiu (azienda municipalizzata di nettezza urbana) al lavoro nella sottostante isola ecologica.
Dura la reazione dei familiari delle vittime: “Mi chiedo come si possa stare zitti quando si hanno tra le mani informazioni di gravità come questa e come certe persone possano dormire sonni tranquilli”. Egle Possetti, presidente del comitato ricordo vittime del ponte Morandi e che nel crollo ha perso la sorella Claudia, che era con i figli avuti dal primo marito Manuele, 16 anni, e Camilla, 12; ma anche con Andrea, l’uomo sposato soltanto 20 giorni prima) commenta così le parole di Gianni Mion. “Se fossi stata al suo posto e avessi saputo lo stato delle infrastrutture non sarei stata zitta e avrei fatto il diavolo a quattro e avrei anche fatto in modo che il problema emergesse. Speriamo che qualcuno paghi“.